Il gioioso disordine alimentare del tempo di vacanza, se vissuto col giusto spirito, può essere altrettanto appagante. Basta non esagerare tra compulsività e sensi di colpa.
di Alberto Piastrellini
Mentre Aprile sembra abbandonarci con uno stravagante strascico di inverno, si profila all’orizzonte la temuta prova del costume, un vero e proprio trauma psicologico per molte e anche per molti, normalmente un po’ sovrappeso al finire della brutta stagione.
Quest’anno, poi, le buone intenzioni di salvaguardare la propria linea sono messe a dura prova da una congiunzione di festività sacre e profane che, unite a sabati e domeniche, ingenerano quasi una decina di giorni di vacanza.
Una pausa insperata dal lavoro, l’entusiasmo per l’improvvisa libertà dagli obblighi quotidiani, la possibilità di godersi del tempo con i propri cari e con gli amici, magari organizzando gite e banchetti fuori casa si traduce normalmente in una frattura delle normali abitudini alimentari e così, aperitivi, ristoranti, pizzerie, picnic, grigliate vanno necessariamente ad accumularsi con le tenzoni enogastronomiche tradizionali dei pranzi in famiglia…
Col risultato che se pure lo spirito si ritempra e si divaga – passando per la gola – si finisce per esagerare con il consumo di cibi e bevande ed esaurita l’euforia festaiola ci si ritrova un po’ troppo appesantiti di fronte allo specchio che impietoso restituisce il ritorno di curvette faticosamente appianate.
Scattano i sensi di colpa, amplificati da una diffusa narrazione che veicola un’immagine di corpi perennemente giovani e scattanti e così si finisce per intristirsi di fronte a deprimenti porzioni di anonime verdurine lesse consumate come amare medicine da cui dipende la propria sopravvivenza, improbabili diete d’urto-detox-d’emergenza-miracolosamente-sgonfianti associate ad inverosimili maratone di attività fisica sopra le righe (peraltro a rischio coronarie dopo il trionfo di abbacchi, pizze pasqualine, salumi, cioccolato e vini) con l’illusione di espiare in brevissimo tempo i peccatucci dei reiterati stravizi.
Dunque, se si tiene alla linea, occorre guardare con riprovazione e rigorosa continenza alle sirene della tavola in questi dieci giorni di follia oppure c’è la possibilità di godersi qualche eccesso enogastronomico senza tema di abbandonare per sempre l’agognata taglia frutto di tanti sacrifici?
Come sempre la saggezza degli antichi ci viene incontro e dalle Satire di Quinto Orazio Flacco leggiamo la celebre locuzione “est modus in rebus sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum” che possiamo tradurre come: “V’è una misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto”.
Il controllo delle proprie pulsioni (il bisogno alimentare risponde non solo allo stimolo della fame ma anche a tutte le domande di “coccole” e “ricompense” che ricerca il nostro animo variamente frustrato) è la prima difesa all’avanzare delle calorie; magari evitiamo di sbrigliare del tutto i freni avventandoci su porzioni fuori misura chiedendo pure il “ripasso”.
Ne gioverà ogni digestione e, magari, potremo apprezzare al meglio ogni singola preparazione e/o pietanza godendo dei singoli sapori.
Evitiamo, altresì, il sovraccumulo di carboidrati per pasto così come l’eccesso di bevande alcoliche (vino, birra, spumanti e liquori) e zuccherate.
Facile a dirsi, difficile a farsi, ma il trucchetto di utilizzare spezzafame non troppo calorici come le verdure crude, aumenta il senso di sazietà e predispone ad un consumo più contenuto durante il pasto successivo.
L’opportunità del tanto tempo libero, poi, può essere sfruttata abilmente per coniugare relax e movimento, alternando sapientemente le gioie della tavola con quelle della scoperta, del turismo lento, dello svagarsi ozioso en flanant per borghi, musei, giardini e boschi, perché non solo lo stomaco va saziato e le papille gustative vellicate, anche lo spirito ha bisogno dei suoi banchetti che, per quanto pantagruelici, non provocano eccessi adiposi, anzi, favoriscono il consumo di calorie.
E se alla tentazione di quel piatto o quel dolcetto in più proprio non si sa resistere, niente tragedie; due settimane di misurata anarchia alimentare non provocano danni irreparabili, si tratterà di adottare un regime più discreto favoriti dalla ripresa del lavoro vivendo con serenità anche le piccole follie alimentari del tempo di vacanza.