Alla scoperta del tessuto e del disegno tipico delle Higlands che dalla Scozia della tradizione ha saputo reinventarsi in mille declinazioni diverse, sempre sfacciatamente classico.
Di Berthina Von Fliesen
Irrinunciabile nel corredo maschile e femminile in terra di Scozia dove trame ed ordito ed un uso preciso del colore raccontano storie familiari e l’appartenenza a questo o quel gruppo familiare o Clan.
Terribilmente snob per il plaid raffinato su quale imbastire il più elegante dei pic nic in campagna.
Fashion e country chic al tempo stesso, perfetto per tessili d’arredo e interni, soprattutto nella stagione invernale
Elemento distintivo dell’abbigliamento hipster maschile dove dà il meglio di se nella configurazione “tre pezzi”: giacca, pantalone, gilet; non può assolutamente mancare nel guardaroba femminile.
Declinato nel berretto, nei guanti, nella sciarpa, nella mantella (tornata recentemente in auge nelle passerelle dei maggiori brand), ma anche negli inserti di borse, pochette, scarpe e naturalmente nella cravatta e nelle stampe degli ombrelli; dona allo stesso tempo un tocco classico e retrò all’outfit sdrammatizzandone i toni e donando quel tocco di colore e di naturale matericità che immediatamente suggerisce l’aria aperta della campagna e della brughiera; sempre, ovviamente, in chiave Old England.
È il Tartan, il tipico disegno dei tessuti in lana scozzesi, ottenuto intessendo fili di diverso colore che si ripetono in una sequenza precisa, tanto nella trama, quanto nell’ordito per generare un disegno dove blocchi e riquadri di colore si susseguono e si sovrappongono in un gioco preciso di intrecci che generano nuances diverse rispetto ai colori di partenza.
Il disegno tartan, il cui nome ha un etimo incerto se ha trovato nelle “terre alte” della Scozia, almeno dal XVI secolo il suo territorio di eccellenza, probabilmente ha origini molto più antiche e diffuse, dal momento che una tessitura simile è stata rinvenuta in frammenti tessili risalenti all’VIII sec. d. C. nelle miniere di Hallstatt (Austria) e ancora nello Xinjiang, in Cina, nelle vesti sepolcrali di alcune mummie che risalgono addirittura al 2000 a. C.
E tanto per citare un caso italiano legato alla storia dell’arte, è curioso notare come nella tempera su tavola di Pietro Lorenzetti che rappresenta la Natività della Vergine Maria (opera databile tra il 1335 e il 1342 e conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Siena), il personaggio di S. Anna è rappresentato adagiato su un bellissimo e attualissimo tartan giallo e nero!
Presso gli higlanders tra il XVI° e il XVII° secolo era comune utilizzare il disegno tartan per la confezione dell’abito tradizionale e dei suoi accessori, al punto che finì per diventare un simbolo di appartenenza nazionale e familiare.
Proibito per decreto della corona inglese dopo la rovinosa battaglia di Culloden nel 1746 (con questa mossa gli inglesi vietarono ai ribelli scozzesi non solo di portare armi, ma anche di vestire i colori nazionali), il tartan fu “riabilitato” solo sul finire del ‘700 e poi, definitivamente, con il revival del tradizionale e dell’antico promosso dalla Regina Vittoria e dal principe Alberto.
Ma già pochi anni prima, nel 1805 la Highland Society aveva iniziato a censire e registrare ufficialmente tutti i disegni tartan direttamente collegati ad altrettanti famiglie e clan. Dal periodo vittoriano in poi il tartan è sinonimo di stile, tradizione, cultura nazionale, e perché no ribellione, controcultura.
Passato indenne attraverso due Guerre mondiali, indifferente alla rivoluzione giovanile degli anni ’60, rafforzato dalle tensioni ribelli della cultura pop e della subcultura punk dagli anni ’70 in poi, il tartan ha saputo cavalcare ogni moda grazie alla semplice versatilità che l’infinita combinazione di colori diversi riesce a produrre in fantasie sempre nuove e sempre attuali.
Senza contare che niente di più classico (forse da almeno 2.000 anni) accende la fantasia di stilisti e couturier che, ancora oggi ne sanno interpretare l’essenza proponendo continuamente idee e abbinamenti intramontabili, perché, appunto, senza tempo.