Musica

Donne in musica, compositrici con la gonna: Francesca Caccini

Le donne hanno lasciato tracce importanti nella storia e in tutti i settori della cultura, ma pochi sono i riconoscimenti che rendono loro merito. Di Anna Rita Rossi L’espressione “prima donne e bambini” è una consuetudine di tipo cavalleresco/marinaro, secondo cui donne e bambini debbono essere salvati per primi in caso di pericolo di vita.Questa cortesia sociale, purtroppo, è stata riservata alle donne solo nei casi estremi e “passa in cavalleria” all’istante, quando si parla di donne in ambiti come storia e cultura in genere; sono davvero poche le figure femminili che hanno passato il “filtro” dei tempi e io vorrei “spezzare una lancia” a favore delle donne musiciste. La storia della musica, se non le avesse ignorate, avrebbe avuto molte figure di donne: compositrici, cantanti ed esecutrici che avrebbero potuto figurare a pari merito con i loro colleghi uomini, ma così non è stato e, purtroppo, non è così tuttora. Molte cantanti hanno calcato le scene, ci sono testimonianze di grandi strumentiste e molte composizioni hanno firme femminili, ma sono relegate in una sorta di ripostiglio, da cui vengono tirate fuori come un vecchio cimelio magari per l’8 marzo o perché qualche studioso ha deciso di dedicare uno studio specialistico al riguardo. Una di queste donne che merita di essere ricordata è Francesca Caccini.Nasce a Firenze il 18 settembre 1587 da una famiglia di musicisti.Francesca fu compositrice, clavicembalista e cantante; fu la prima donna a scrivere un’opera “La liberazione di Ruggiero dall’isola d’Alcina” (eseguita per la prima volta il 3 febbraio 1625 a Poggio Imperiale) e fu, probabilmente, la più prolifica compositrice del suo tempo; è considerata una fra le donne che maggiormente hanno contribuito all’evolversi della nascente musica barocca all’inizio del Seicento. L’opera della Caccini è la prima opera lirica composta da una donna e anche la prima

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Donna InCanto: Carmen, la seduzione sfrontata e ribelle

Esotismo ed erotismo nella figura della zingara ribelle che da 144 anni accende le fantasie del pubblico del mondo. Di Alberto Piastrellini “Quand je vous aimerai? Ma foi, je ne sais pas. Peut-être jamais, peut-être demain. Mais pas aujourd’hui, c’est certain!” (Traduzione: “Quando vi amerò? In fede mia non so. Può essere, mai; può essere domani. Ma non oggi, è sicuro!”) L’entrata in scena di Carmen, a metà del primo atto dell’Opera omonima di George Bizet è qualcosa di sconvolgente nella sua sfrontata esuberanza giovanile e popolare al tempo stesso; sapientemente e teatralmente ritardata da due scene dove l’atmosfera accaldata del pomeriggio sivigliano si colora dell’attesa spasmodica di gruppi maschili diversi bramanti l’arrivo delle donne. Non già le figurine putibonde in guanti di pizzo e ombrellino o le ingenue contadinelle che affollano la piazza, buone, se mai, per metter su famiglia o per scimmiottare qualche conquista galante, ma le ruvide, provocanti, scosciate e sguaiate sigaraie la cui anima seduttrice e perversa è Carmen, sex symbol ante litteram che accende le fantasie borghesi con un portato di sensualità fisica e verbale amplificato da una partitura orchestrale accesa e violenta, evocatrice e ammaliatrice. Scopriamo insieme questo personaggio che dal 1875 costituisce un archetipo dell’opera lirica e della femminilità. Prima ancora che sulle scene, Carmen vede la luce nella novella omonima pubblicata nel 1845 da Prosper Mérimée: un torbido quadretto in quattro parti che adombra relazioni adulterine e crimini passionali nel contesto di una Spagna accesa dal fuoco dei sensi. Un soggetto di per sé già scandaloso che però, aveva tutte le caratteristiche – adeguatamente sfrondato delle parti più “forti” – per intrattenere il pubblico di famiglie del Théâtre national de l’Opéra-Comique di Parigi che, nel 1873 aveva commissionato a George Bizet l’incarico di trarne un’opera. Il musicista e i librettisti Henri Meilhac

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