meditazione

Ossidiana nera: la pietra per vere guerriere

L’ossidiana è una pietra potente che scava in profondità e va usata con molta cautela, mentre l’ossidiana fiocco di neve, grazie alle piccole macchie chiare, è più equilibrata ma altrettanto efficace. di Agnese Mengarelli L’ossidiana è un vetro vulcanico che nasce dal repentino raffreddamento di lave ad alto contenuto di silicio.Non ha una struttura cristallina, perché il rapido raffreddamento della lava impedisce che si formino cristalli, producendo quindi una massa amorfa e rigida. L’età geologica delle ossidiane non è mai molto antica ed è difficile reperire ossidiane che abbiano un’età superiore ad alcuni milioni di anni. È la pietra del guerriero, poiché, essendo un vetro molto tagliente, nella preistoria veniva usata per costruire le punte delle lance.  Ma non solo, il suo potere di aprire e chiudere la carne è anche metaforico, infatti l’ossidiana è in grado di entrare in profondità per liberarci dai blocchi e sciogliere gli irrigidimenti mentali.È la pietra adatta per contattare le parti più nascoste di noi (e spesso le meno gradevoli) per aiutarci ad accettarle e a sublimarle. L’ossidiana appartiene alle più antiche pietre da culto della storia umana e già durante l’era della pietra, si producevano dei sonagli per scopi ritualistici.  Nell’antichità, si credeva che fosse in grado di scacciare i demoni e nel Medioevo veniva utilizzata nei riti magici.I sacerdoti Maya del dio Tezcatlipoca, il cui nome significa “specchio fumante” o “ossidiana”, usavano specchi di ossidiana a scopi divinatori. Deve il suo nome attuale a Obsius, il romano che, secondo i resoconti di Plinio, la scoprì nei territori dell’odierna Etiopia. L’ossidiana aiuta a ristabilire la propria integrità, facendo vedere i lati oscuri della propria personalità e a trasformarli. In questo modo, si diventa guerrieri senza macchia, spiritualmente liberi e invulnerabili.  A livello psicologico, l’ossidiana aiuta a superare gli shock, le paure, i blocchi e i

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La vacanza alternativa di chi sceglie l’eremo o il convento

L’immenso patrimonio architettonico-storico e religioso rappresentato da Conventi, Eremi e Monasteri offre anche incredibili opportunità di ospitalità per coloro che ricercano un’alternativa alta alla vacanza tradizionale. Tra natura, cultura, impegno e spiritualità di Alberto Piastrellini Ti svegli al mattino col suono attutito delle piccole campane che chiamano i fedeli alla preghiera, mentre dalle piccole finestre la luce del sole ritaglia scacchi luminosi su antichi pavimenti di cotto.L’assenza dei rumori quotidiani, il traffico, i clacson, l’onnipresente vibrazione di fondo delle nostre città è quasi straniante, all’inizio, ma l’orecchio si abitua subito ritrovando panorami sonori più consoni al nostro essere animali: i canti degli uccelli, lo stormire delle fronde, il ronzio degli insetti. Il tempo sembra sospeso, infinito; le ore del giorno si dilatano incomprensibilmente mentre gli occhi riscoprono con stupore le impercettibili variazioni di luce cui normalmente non si bada presi dalle urgenze del lavoro e dal ritmo artificiale delle nostre esistenze. Nell’assenza di stimoli artificiali e nel timore di rompere una ritrovata armonia è facile abbandonarsi alla riflessione, alla meditazione, alla ricerca interiore e, dopo qualche giorno, complice un’alimentazione gustosa e bilanciata al tempo stesso, il corpo e lo spirito sembrano rinnovati come un prato dopo un acquazzone. La vacanza ideale, preziosa per i suoi benefici, non solo sulla mente, è alla portata di tutti eppure lontanissima dai cataloghi delle agenzie di viaggio e dalla fascinazione artificiale delle mète commerciali. Costa poco, rende parecchio e spesso non implica neppure faticosi spostamenti lungo autostrade intasate e infuocate, anzi, predilige arterie secondarie che consentono di riscoprire paesaggi e territori poco battuti… Monasteri, Eremi, Abbazie, Conventi, da sempre garantiscono la solitudine e l’isolamento della vita cenobitica e monastica con l’afflato dell’accoglienza: un tempo ai pellegrini e ai viandanti, oggi, verso i nuovi cercatori di un senso del vivere. E l’estate, con le sue

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Stone balancing: l’arte effimera delle pietre in equilibrio

Tra land art e meditazione creativa, una pratica suggestiva che cattura la fantasia e lascia una traccia transitoria di sé. di Alberto Piastrellini Passeggiando su una spiaggia rocciosa e sassosa, sulle rive di un torrente o lungo il sentiero di una montagna, vi sarà capitato di osservare strane “costruzioni” di pietre sovrapposte in equilibrio precario, quasi a sfidare le leggi della fisica. Sono chiaramente opera dell’uomo, ma non hanno l’utilità pratica degli “ometti” di pietra che segnalano una biforcazione del sentiero o la retta via al camminatore, tutt’altro…Quelle precarie sovrapposizioni di pietre sono piccole opere d’arte estemporanee ed effimere di altrettanti ignoti autori affascinanti dalla pratica dello Stone balancing. Già la scelta del materiale ha in sé qualcosa di magico, di arcaico, di ritorno al primitivo.Le pietre, infatti, recano un portato di secoli e accadimenti che ne hanno determinato la forma complessiva, la posizione, il colore, la texture della superficie. Individui particolarmente sensibili traggono particolari sensazioni dal maneggiare questa o quella pietra che “risponde” – a lor detto – emanando “vibrazioni” più o meno positive. Non è questo, certo il luogo adatto a sviluppare un discorso in tal senso, tuttavia è esperienza comune che la particolare forma di una pietra attrae l’attenzione e la curiosità, pertanto, realizzare sculture estemporanee formate dalla sovrapposizione quasi miracolosa di pietre di forme e dimensioni diverse, variamente orientate nello spazio ed in rapporto di equilibrio fra di loro significa regalare al mondo, anche solo per pochi istanti, un qualcosa di magico che accende la fantasia e apre la mente. Non a caso molti appassionati di stone balancig riconoscono a questa pratica a metà fra land art e meditazione creativa un notevole potere di rilassamento interiore fatto di ricerca dell’equilibrio (spirituale prima ancora che fisico), consapevolezza dell’ambiente circostante, immersione quasi totale negli elementi della natura. Diventare

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Bonsai: connubio gentile tra Natura e Arte

Piccoli capolavori di scultura vegetale la cui cura e contemplazione inducono all’armonia interiore. Di Alberto Piastrellini Osservare un bonsai è sempre un’esperienza che tocca corde nascoste nel profondo dell’animo. Quel piccolo abete, quell’acero fronzuto, quella quercia contorta e vecchissima sembrano un fotogramma in campo lunghissimo di un fantastico bosco ideale dove gli alberi hanno una forma precisa e rispondono a determinate associazioni di idee. Poi ci si avvicina e si scopre la magia delle proporzioni complessive che creano quell’illusione: il reticolo della corteccia, la forma coerente del tronco, le foglie in miniatura, minuscole “colline” di muschio che incorniciano la base della pianta in un paesaggio sereno e severo al tempo stesso ove, ugualmente, la forma armonica del vaso contribuisce a costituire un frammento di realtà che parla del tutto. L’arte di far crescere le essenze arboree in piccoli vasi, ingrossando il tronco ed “educando” i rami per conformarli ad un disegno complessivo che risponde a canoni estetici precisi si è sviluppata in Giappone a partire dal VI Secolo, allorquando studenti e diplomatici del Sol Levante tornarono dalla Cina della dinastia Tang con vasi contenenti “giardini in miniatura” chiamati penjing. Nei secoli successivi l’approccio filosofico Zen favorì, come in molti altri aspetti della vita e delle attività quotidiane, il fiorire di una disciplina ibrida, in questo caso connubio fra botanica, giardinaggio e scultura volta a produrre “piante in ciotola”: bonsai, infatti, è il termine nato dall’unione dei caratteri bon (ciotola) e sai (piantare), con l’obiettivo di riprodurre in casa, per il proprio e l’altrui godimento, un’opera vivente in grado di suggerire sensazioni quali solo le grandi manifestazioni della natura possono evocare. La forza di una conifera abbarbicata alla roccia della montagna piegata negli anni dal vento impetuoso, oppure la contorta maturità di un albero secolare o, perché no, l’assurda perseveranza della

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Incenso: il profumo della Terra che parla al Cielo

Un viaggio tra aromi, Paesi e culture scritto su un’esile filo di fumo Di Alberto Piastrellini Un sottile filo di fumo azzurrino sale verso il soffitto e spande intorno un aroma sensuale che sa d’Oriente e di magia. È l’incenso, prodotto di origine naturale che da sempre accompagna i momenti fondamentali della vita dall’Africa, all’Europa, dal vicino Oriente all’estremità dell’Asia intessendo un continuo dialogo tra religioni, riti, filosofie e semplice quotidianità. Un dono della Natura che, oltre alle note proprietà aromatiche per il quale è universalmente conosciuto, nasconde anche caratteristiche interessanti dal punto di vista della salute e del benessere. Cerchiamo di scoprirle insieme in un viaggio da Mille e Una Notte. Il nome incenso designa genericamente tutta una serie di oleoresine secrete da piante del genere Boswellia. La Boswellia sacra, tipica dell’Oman meridionale (Dhofar) produce a partire dai 10 anni di età la resina lattescente che, fatta stillare mediante incisioni del tronco e lasciata asciugare al sole forma dei cristalli dorati ed ambrati di incenso. La raccolta, per non stressare troppo la pianta, avviene nel periodo aprile-ottobre e si effettua per non più di quattro volte l’anno. L’incenso dell’Oman è storicamente il più noto e il più costoso data l’alta qualità delle sue caratteristiche. In Arabia, Yemen ed Oman, l’uso dell’incenso non è legato alle pratiche liturgiche, ma viene usato quotidianamente come purificante degli ambienti domestici, per allontanare gli insetti fastidiosi per profumare vestiti e capelli. Inoltre, la farmacopea tradizionale gli attribuisce proprietà interessanti nel combattere le affezioni dell’apparato respiratorio (espettorante, anticatarrale e antisettico) mentre il suo olio essenziale viene distillato per la preparazione di profumi a base oleosa e per rimedi della pelle (cicatrizzanti ed astringenti). Come semplice fonte di aroma naturale, il profumo dell’incenso induce un piacevole relax predisponendo la mente alla riflessione e alla meditazione (non

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ORIGAMI, L’ARTE DI PIEGARE LA CARTA IN FORME SEMPRE NUOVE

Tra raffinato passatempo e forma di espressione simbolica, un’arte antica che richiede calma, concentrazione e tanta fantasia e creatività. Di Alberto Piastrellini Le dita della mano intente a realizzare pieghe precise nella carta washi e dopo pochi gesti, semplici e complessi al tempo stesso, ecco che dalla quasi bidimensionalità del foglio sboccia un piccolo miracolo in forma di coniglio. La pratica dell’origami (l’arte giapponese del piegare la carta il cui nome deriva dall’unione dei termini oru: piegare e kami: carta), reca con sé tutto un portato a metà fra piacere, raffinato passatempo e meditazione tipico dell’approccio alla vita degli abitanti del Sol Levante, approccio che vede nella contemplazione e riproduzione inspirata e non pedissequa di forme naturali la più alta forma di penetrazione nell’essenza del mondo. Pratica, questa che si sposa con un ideale estetico estremamente profondo e minimale che da secoli accompagna la vita di tutti i giorni: “In verità tutte le cose piccole sono belle”, scriveva l’aristocratica poetessa giapponese Sei Shōnagon più di mille anni fa nella sua opera più nota “Note del guanciale” e ancora oggi questa considerazione sembra guidare la mano di artisti e artigiani di ogni sorta: nella musica, come nella pittura, nella letteratura come nelle arti minori. Ma non è solo pura ricerca estetica quella che guida la creatività di tanti piegatori di carta giapponesi; in passato l’origami aveva un significato più profondo che richiamava principi filosofici e religiosi legati all’impermanenza delle cose umane, al ciclo della vita e della morte e alla sua accettazione come parte di un percorso più ampio. Lo stesso materiale usato in quest’arte, la carta (il termine kami in giappone indica anche un oggetto di venerazione della fede shintoista e può anche indicare uno Spirito o un Dio), con la sua fragilità suggerisce l’effimero dell’uomo e delle sue produzioni; la

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