ISTAT

Sempre più difficile per le madri conciliare lavoro e vita familiare

Secondo l’Istat in Italia le donne con figli co-abitanti sono più penalizzate nel tasso di occupazione rispetto a quelle senza figli coabitanti, come è pure rilevante il divario tra le italiane con figli che non hanno mai lavorato contro una media molto bassa delle europee. di Carmela Marinucci L’Istat ha diffuso il 18 novembre 2019 i risultati di un approfondimento https://www.istat.it/it/files//2019/11/Report-Conciliazione-lavoro-e-famiglia.pdf tematico su “Conciliazione tra lavoro e famiglia”, realizzato sulla base dei dati 2018 del modulo ad hoc europeo “Reconciliation between work and family life”, da cui emerge una forte disparità delle donne italiane nel poter conciliare i tempi da dedicare al lavoro con quelli destinati alla famiglia. Secondo quanto riportato dall’Istituto nazionale di statistica, nel 2018 in Italia il tasso di occupazione delle madri tra 25 e 54 anni alle prese con i figli piccoli, fino a 14 anni, è del 57% a fronte dell’89,3% dei padri, mentre il tasso di occupazione di donne senza figli coabitanti è invece pari al 72,1%. L’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) che monitora con l’annuale Rapporto https://asvis.it/public/asvis2/files/REPORT_ASviS_2019.pdf il percorso dell’Italia verso i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) dell’Agenda ONU al 2030, ha osservato come nel nostro Paese si sia creato un sistema di buone leggi in materia di uguaglianza di genere ed empowerment delle donne. Tuttavia, negli ultimi anni si è notato un depotenziamento, anche per carenza di fondi e risorse umane, come denuncia anche il peggioramento del rapporto tra i tassi di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli. Nel Meridione, una donna su 5 con almeno un figlio dichiara di non aver mai lavorato per prendersene cura. In generale, la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita familiare risulta difficoltosa per più di un terzo degli occupati (35,1%)

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Studiare di più fa diminuire il rischio di contrarre patologie croniche

Secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale sulla salute effettuato su tutte le Regioni italiane, chi ha un titolo di studio più elevato previene i rischi di ipertensione, artrosi e artrite, osteoporosi, diabete e patologie cardiache. Di Annarita Felcini Più studiamo, meno rischiamo di ammalarci. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio nazionale sulla Salute studiare di più, oltre a dare dei vantaggi dal punti di vista lavorativo, previene anche il rischio di sviluppare malattie croniche. Sulla base dei dati dell’Istituto, diretto da Walter Ricciardi con sede a Roma all’Università Cattolica, nel 2017 nella fascia di età tra i 45 e 64 anni (quella in cui insorge la maggior parte delle cronicità), la percentuale di persone con licenza elementare o nessun titolo di studio era affetta da almeno una patologia cronica, pari al 56,0%. Ma scendeva al 46,1% tra coloro che hanno un diploma e al 41,3% tra quelli che possiedono almeno una laurea. L’artrosi/artrite, l’ipertensione e il diabete sono le malattie per le quali questo fenomeno è più forte e per cui si riscontrano i maggiori divari sociali; con riferimento ai titoli di studio estremi (nessun titolo-laurea) le differenze ammontano, invece, a 13,1, 12,5 e 7,4 punti percentuali a svantaggio dei meno istruiti. E si registrano differenze anche rispetto alle professioni. Le categorie più colpite da patologie croniche sono i disoccupati e gli autonomi: tra i primi la percentuale di coloro che soffrono di almeno una patologia cronica è di circa il 36,3%, mentre tra i secondi si attesta al 34,6%. Rispetto alla condizione di multicronicità, i disoccupati mostrano mediamente maggiori svantaggi rispetto ad artrosi/artrite e disturbi nervosi. Tra gli autonomi la patologia per la quale manifestano in media lo svantaggio più penalizzante è l’ipertensione. Nel 2018, invece, sempre secondo l’Osservatorio, le malattie croniche hanno interessato quasi il 40% della popolazione italiana, vale

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