Donne

La conquista della Luna: ricordi, tecnologia e sogno

In occasione dei 50 anni dallo storico allunaggio, una riflessione sull’oggetto celeste che più di ogni altro ha acceso la fantasia degli uomini “incarnando” e veicolando alcuni aspetti femminili di Alberto Piastrellini Decisamente la terza decade di luglio ha il potere di ricordarci due anniversari che, quest’anno, assumono un sapore tutto particolare: il 16 luglio (del 1945), iniziò ufficialmente l’“era nucleare”, con l’esplosione presso Alamogordo (New Mexico) della prima bomba al plutonio nell’ambito del Programma Manhanttan; il 20 luglio (del 1969) avvenne (anche se taluni continuano a sostenere il contrario) lo storico sbarco sulla Luna. Se, per quanto riguarda la prima data, la mente si proietta tristemente di pochi giorni in avanti, quando, sempre nel 1945 avvenne il primo (e fino ad ora, speriamo unico) impiego bellico della “bomba atomica” (6 agosto – Hiroshima; 9 agosto – Nagasaki); per quanto concerne il secondo e ben più sereno anniversario, non si può che sorridere nostalgicamente riguardando quelle immagini che sembrano provenire da un’epoca apparentemente lontanissima, malgrado siano passati solo 50 anni! Quell’estate del ’69, mentre il mondo era diviso in blocchi di influenza nel pieno della Guerra Fredda, la rivoluzione culturale giovanile scuoteva coscienze e superava abitudini e luoghi comuni in tutto l’Occidente (il concerto di Woodstock sarebbe stato celebrato appena un mese dopo); mentre il discusso Presidente Richard Nixon sedeva nello Studio Ovale della Casa Bianca, mentre infuriava la Guerra del Vietnam, milioni di persone in tutto il mondo vegliarono per una notte col cuore in tumulto per assistere ad un avvenimento epocale: l’impresa incredibile di Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins (oggetto del recente The First Man di Damien Chazelle, presentato lo scorso anno alla 75 edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia). Qualcuno ricorda ancora quella notte, incollati a gruppi nelle case (poche) che potevano vantare

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Venere in bicicletta: i vantaggi delle due ruote e la storia di un rapporto avventuroso

La bicicletta è uno straordinario strumento per la tutela dell’ambiente, un mezzo di locomozione green e pratico, da tutti i giorni. Cosa ne pensa il gentil sesso di questo mezzo? di Martina Stimilli Utilizzare la bicicletta per piccoli o grandi spostamenti è un regalo che possiamo fare a noi stesse e alla natura. Lunedì 3 giugno, si è celebrata la Giornata Mondiale della Bicicletta, istituita l’anno scorso dall’Onu per promuovere la mobilità ciclistica. Perché si parla tanto di bicicletta? L’intento è quello di scoprirne tutti i benefici per il nostro corpo e all’ambiente in cui viviamo. La bicicletta è il mezzo a due ruote che ci consente di praticare una giusta attività fisica, all’aria aperta e (volendo) in compagnia di un gruppo di amici. Pedalare, anzitutto, giova al cuore; l’attività costante, prodotta dalle gambe in movimento, rende il cuore più forte e resistente alla fatica, la frequenza cardiaca diminuisce e la pressione si abbassa. Una lunga pedalata, inoltre, permette di bruciare molte calorie. Un esempio? Ad un buon ritmo, ovvero quello che ci consente di fare una breve chiacchierata ogni tanto, si bruciano circa 400 calorie all’ora. La Giornata Mondiale, tuttavia, non è nata unicamente per sensibilizzare le persone a divenire più sportive. Il vero obiettivo è certamente quello di creare una maggiore consapevolezza sui cambiamenti climatici e, allo stesso tempo, proporre alternative green per salvare il nostro pianeta. A tal proposito la bicicletta è stata eletta a simbolo di una locomozione 2.0, tutta sostenibile. La bicicletta, infatti, sarebbe un ottimo mezzo, per limitare, almeno negli spostamenti urbani, l’uso di automezzi e di combustibili fossili. Luci e ombre Le due ruote stanno scalando gradualmente l’agenda politica delle amministrazioni locali; salgono infatti la disponibilità media di infrastrutture ciclabili (+9% dal 2015), la percentuale di città dove è consentito trasportare le bici

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Quando le donne andavano riportate alla “ragione”

In occasione dell’8 marzo, proponiamo una breve riflessione su una vecchia usanza marchigiana – e non solo – per richiamare le donne alla “ragione”. Di Anna Rita Rossi Nella tradizione marchigiana l’espressione linguistica “battere con la ragione” o “suonarle di santa ragione” riporta alla triste condizione delle donne maritate, di “qualche” anno fa.L’usanza in questione consentiva al marito di richiamare all’obbedienza la moglie, mediante un bastone, denominato, appunto, ragione che, a volte, era accompagnato dall’aggettivo “santo”, come sinonimo di “giusto”. Pare che tale atteggiamento di predominanza di genere non fosse tenuto solo da mariti delle nostre contrade. Ci sono resoconti di antropologi ed etnologi che confermano come simili atteggiamenti siano stati tenuti da maschi di altre nazioni e continenti: chi con la frusta, chi con un ramo di salice o altri strumenti ritenuti idonei, la consorte veniva “riportata alla ragione”. Nelle Marche lo strumento utilizzato per esprimere il ruolo dominante che era svolto dal marito ovvero la “ragione” faceva addirittura parte del corredo nuziale e, in certi casi, era tramandato di generazione in generazione dal padre della sposa al futuro genero per proseguire nell’educazione di subalternità della donna che, nonostante da figlia diventasse moglie, doveva essere egualmente formata in continuità attraverso le istruzioni che il padre trasmetteva al coniuge della figlia. Riflettere sulle vecchie usanze ci aiuta a capire come le donne abbiano percorso un faticoso viaggio verso la parità di genere, ma il fatto che la ragione continui a vivere nelle espressioni linguistiche ammonisce al contempo che il viaggio è finito e che le disuguaglianze non sono state definitivamente sconfitte e che altri ostacoli si frappongono tuttora e ricadute sono sempre in agguato. (notizie sulla “ragione” sono state desunte: Raffaele Corso, Rendiconti, vol. XII, anni 1941-1949), Istituto Marchigiano di Scienze Lettere e Arti, Ancona, 1950).
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Tumore mammario nella regione Marche

Uno Studio epidemiologico dell’ARPA Marche descrive la distribuzione e l’andamentotemporale dell’incidenza di ricovero ospedaliero per tumore alla mammella nella Regione Marche. Di Carmen Marinucci PM2,5 e PM10 ovvero il particolato atmosferico con valori inferiori a 2,5 μg/m3 millionesimo di grammo per metro cubo d’aria analizzata e a 10 μg/m3, costituiscono una miscela complessa di sostanze chimicamente e fisicamente differenti, classificata dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) fra i cancerogeni certi per l’uomo. Per la loro capacità di penetrare nel sistema respiratorio, oltre la laringe, costituiscono l’inquinante a maggiore impatto ambientale nelle aree urbane, poiché per effetto delle loro piccole dimensioni, restano sospese in atmosfera per tempi più o meno lunghi.Tali polveri si originano sia da fonti naturali che antropogeniche, ma quelle fini derivano principalmente dall’utilizzo di combustibili fossili (riscaldamento domestico, centrali termoelettriche, ecc.), dalle emissioni degli autoveicoli; dall’usura dei pneumatici e dei freni e del manto stradale, da vari processi industriali (fonderie, miniere, cementifici, ecc.).Fra le diverse evidenze scientifiche, un’importante metanalisi (vengono messi assieme dati di altri studi e ricerche in modo da trarre conclusioni più forti di quelle che sarebbero state evidenziate sulla base di ogni singolo studio) effettuata dal Progetto europeo ESCAPE (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects) ha confermato una significativa associazione tra incrementi delle concentrazioni di PM2,5 e PM10 e rischio di tumore al polmone, ma è da sottolineare che, più di recente, l’attenzione dei ricercatori si è rivolta, oltre che verso le neoplasie polmonari, anche verso lo studio del possibile legame tra l’esposizione a particolato sottile e forme tumorali a carico di altri. Per ciascun comune marchigiano è stato determinato il valore medio del PM2,5 sulla base dei dati di esposizione forniti dall’ENEA. È bene precisare lo studio, comportando la semplice descrizione della distribuzione nel tempo e nello spazio dell’esito sanitario

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Le donne del Decameron: tutti i possibili modi di essere donna

Il Decameron di Boccaccio, oltre a essere una delle opere più note e importanti della letteratura trecentesca europea, è un omaggio alle donne e un’interessante sfilata di tipologie femminili. Di Anna Rita Rossi . I personaggi del gentil sesso – ritratti dal Boccaccio, attraverso le parole dei giovani che si dilettano a raccontare le novelle raccolte nel libro – risentono dei tempi in cui l’autore viveva, ma sono già proiettati verso una condizione più moderna.La leggiadra schiera di donne del Decameron è composta da figure con le quali il Boccaccio può presentare tutti i possibili modi di essere donna: dal più negativo al più positivo e grandioso. Entro tali confini, Boccaccio è capace di cogliere tutte le possibili sfumature.Può essere molto piacevole aggirarsi tra questi esempi femminili che incarnano, a seconda dei casi, una serie di atteggiamenti, vizi e virtù.Scorrendo le cento novelle, narrate in dieci giorni da un gruppo di giovani – sette donne e tre uomini che si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera – riscontriamo che Boccaccio è riuscito a rappresentare caratteri e personalità diverse senza trascurare nulla, e le varie situazioni in cui questi personaggi sono calati ne rivela non solo l’apparenza, ma anche i risvolti più intimi.Le donne delle sue novelle sono di volta in volta: astute, ingenue, virtuose, viziose, sciocche, sagge, piene di iniziativa, remissive, devote, fedeli, adultere.Insomma, una carrellata molto varia, ma quello che più conta è la vitalità insita in questi esempi femminili così ben tratteggiati.Se decidete di avventurarvi in questa magnifica opera, posso già farvi un’anticipazione: non ve ne pentirete.
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Women4Climate: ovunque trovi donne che lottano per la giustizia climatica

Sono sempre più numerose le donne con ruoli di responsabilità che sono fautrici di una dura lotta politica contro i cambiamenti climatici che impattano sui Diritti umani e di equità di genere. Di Carmen Marinucci Intervenuta alla Conferenza TEDWomen del 2015 (Monterrey-California, 27-29 maggio 2015) per parlare sul perché i cambiamenti climatici costituiscono una minaccia per i diritti umani, l’ex Presidente della Repubblica d’Irlanda Mary Robinson, ex Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, ha ricordato la Marcia per il Clima di New York del 21 settembre 2014, quando alla vigilia della Conferenza ONU sul Clima (23 settembre 2014), si svolse la più grande manifestazione per il clima mai avvenuta.“Ricordo molto bene la Marcia per il Clima dello scorso settembre, fu un grande stimolo, non solo a New York, ma in tutto il mondo, e dobbiamo costruirci sopra – ha sottolineato la Robinson che ora presiede la Fondazione che porta il suo nome per la Giustizia Climatica  Marciavo con delle famiglie anziane, e vidi un cartellone un po’ più lontano, ma eravamo così stretti gli uni agli altri, perché dopo tutto, c’erano 400 000 persone per le strade di New York, che non riuscii ad arrivare a quel cartellone, mi sarebbe piaciuto poterci camminare dietro, che diceva, ‘Nonne Arrabbiate!’ (considerando le risate del pubblico, il termine angry doveva avere un senso… più forte)”. Il rispetto dei Diritti umani e dell’equità di genere sono infatti elementi imprescindibili per affrontare gli impatti del cambiamenti climatici, come peraltro è ben consapevole un’altra leader della causa qual è Alexandra Ocasio-Cortez, la più giovane donna che sia mai stata eletta al Congresso statunitense, appartenente all’ala progressista del Partito Democratico statunitense, entrata alla Camera dei Rappresentanti con le elezioni di mid-term dello

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Giornata Internazionale della tolleranza zero nei confronti delle pratiche di mutilazione genitale femminile

La Commissione Ue celebra l’evento ricordando dati e iniziative di contrasto ad un problema ancora troppo sottaciuto e nascosto, purtroppo ben più diffuso di quanto si immagini. Di Alberto Piastrellini Oggi, 6 febbraio, si celebra la Giornata Internazionale della tolleranza zero nei confronti delle pratiche di mutilazione genitale femminile, istituita dall’Assemblea generale dell’ONU il 20 dicembre 2012, con l’obiettivo di promuovere campagne di sensibilizzazione e azioni concrete per combattere la pratica delle mutilazioni genitali femminili. Usanza raccapricciante e ancora troppo diffusa in alcuni Paesi del mondo, purtroppo eseguita, spesso in casa o comunque in strutture ove non è possibile garantire alcun controllo igienico o medico, anche in Occidente, ovviamente di nascosto. Le stime, proprio per questo molto indicative, indicano come nel mondo oltre 200 milioni di donne (500.000 nella sola Europa) siano state sottoposte a queste pratiche che nulla hanno a che vedere con la salute del corpo o con il benessere, rientrando nel nebuloso e tutto soggettivo territorio della tutela dell’onore e della tradizione. Al ritmo attuale, si teme che di qui al 2030, altri 68 milioni di giovani ragazze dovranno subire questo trauma nei Paesi ove tali azioni sono praticate abitualmente (e quindi più o meno censibili). Ricordiamo che sotto la denominazione di mutilazione genitale femminile rientrano tutta una serie di operazioni che vanno dall’escissione parziale a quella completa dei genitali femminili esterni; dalla rimozione parziale o totale del clitoride alla rimozione di piccole e grandi labbra, sino al restringimento dell’apertura vaginale con la sutura successiva alla rimozione delle parti esterne. Si possono ben immaginare le conseguenze invalidanti fisiche e psicologiche nel breve e nel lungo periodo per chi subisce tali operazioni senza contare i rischi derivanti dall’utilizzo di strumenti non chirurgici e dall’operato di persone non professioniste in campo medico-chirurgico. In occasione della Giornata Internazionale l’Alto rappresentante

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