cultura

La vacanza alternativa di chi sceglie l’eremo o il convento

L’immenso patrimonio architettonico-storico e religioso rappresentato da Conventi, Eremi e Monasteri offre anche incredibili opportunità di ospitalità per coloro che ricercano un’alternativa alta alla vacanza tradizionale. Tra natura, cultura, impegno e spiritualità di Alberto Piastrellini Ti svegli al mattino col suono attutito delle piccole campane che chiamano i fedeli alla preghiera, mentre dalle piccole finestre la luce del sole ritaglia scacchi luminosi su antichi pavimenti di cotto.L’assenza dei rumori quotidiani, il traffico, i clacson, l’onnipresente vibrazione di fondo delle nostre città è quasi straniante, all’inizio, ma l’orecchio si abitua subito ritrovando panorami sonori più consoni al nostro essere animali: i canti degli uccelli, lo stormire delle fronde, il ronzio degli insetti. Il tempo sembra sospeso, infinito; le ore del giorno si dilatano incomprensibilmente mentre gli occhi riscoprono con stupore le impercettibili variazioni di luce cui normalmente non si bada presi dalle urgenze del lavoro e dal ritmo artificiale delle nostre esistenze. Nell’assenza di stimoli artificiali e nel timore di rompere una ritrovata armonia è facile abbandonarsi alla riflessione, alla meditazione, alla ricerca interiore e, dopo qualche giorno, complice un’alimentazione gustosa e bilanciata al tempo stesso, il corpo e lo spirito sembrano rinnovati come un prato dopo un acquazzone. La vacanza ideale, preziosa per i suoi benefici, non solo sulla mente, è alla portata di tutti eppure lontanissima dai cataloghi delle agenzie di viaggio e dalla fascinazione artificiale delle mète commerciali. Costa poco, rende parecchio e spesso non implica neppure faticosi spostamenti lungo autostrade intasate e infuocate, anzi, predilige arterie secondarie che consentono di riscoprire paesaggi e territori poco battuti… Monasteri, Eremi, Abbazie, Conventi, da sempre garantiscono la solitudine e l’isolamento della vita cenobitica e monastica con l’afflato dell’accoglienza: un tempo ai pellegrini e ai viandanti, oggi, verso i nuovi cercatori di un senso del vivere. E l’estate, con le sue

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Cammini: la Via Femminile per l’estate 2019

La IX edizione del Festival Europeo della Vie Francigene, Cammini, Ways, Chemin celebra la sensibilità femminile nei paesaggi umani e naturali. Oltre 600 gli eventi in programma di Alberto Piastrellini Negli ultimi anni è aumentato il numero di coloro che hanno riscoperto il piacere e il benessere psicofisico derivante dal camminare; attenzione, non stiamo parlando della salutare passeggiatina quotidiana, ma del mettersi letteralmente in viaggio usando le proprie gambe come mezzo di locomozione. Una forma di viaggio slow che recupera tradizioni millenarie di pellegrinaggi e mete legate alla dimensione religiosa e spirituale in genere che, oggi, si veste di ulteriori fascinazioni che si allacciano al recupero del tempo e della dimensione naturale del vivere, della riscoperta della natura e, perché no, del rifiuto temporaneo dai meccanismi della quotidianità per riscoprire la dimensione interiore del senso del viaggio e stringere amicizie e rapporti con altri camminatori. Un fenomeno in crescita a livello europeo, ove i più noti cammini di Santiago di Compostela e della Via Francigena sono frequentati annualmente da migliaia di utenti e ugualmente in crescita in Italia, ove la presenza di Roma, centro della fede cattolica e di centinaia di Eremi, Abbazie, Conventi e Santuari ha favorito, nei secoli, il moltiplicarsi di Vie e sentieri che hanno costituito, nel tempo, una sorta di sistema arterioso della circolazione di fede, cultura, arte, merci e narrazioni. Un patrimonio incalcolabile che mette in rete città d’arte, borghi, castelli, chiese e luoghi religiosi in un contesto paesaggistico ove natura e società hanno convissuto per secoli sino alla riscoperta degli ultimi anni dopo quasi due secoli di oblio. I numeri di camminatrici e camminatoriGiusto per fornire qualche dato: lo scorso anno, per la prima volta, il numero delle “credenziali” rilasciate a coloro che hanno camminato in Italia ha superato quello degli italiani che hanno

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L’amore per i libri fa bene alla cultura, alla società e all’ambiente

La fiaba (reale) dell’illuminato libraio di Polla (SA) che con le sue iniziative a forte valenza sociale promuove la lettura soprattutto nelle giovani generazioni e fa del bene anche all’ambiente di Alberto Piastrellini Una bella storia che ha il sapore della favola arriva sulle pagine dei giornali dalla provincia di Salerno: quella di un libraio gentile (di fatto e di nome) che s’è ingegnato per promuovere la circuitazione dei libri associando questa alle pratiche di raccolta consapevole dei rifiuti. In questa storia, la difesa e la promozione della cultura a partire dall’atto della lettura si sposano con la coscienza ambientale e la consapevolezza delle necessità di gestire al meglio le risorse rappresentate dai materiali/rifiuti. Ma non solo, in questa storia c’è anche una grande lezione di umanità e di altruismo suggeriti dalla pratica tutta napoletana del “caffè sospeso”, qui declinata in chiave libraria… Vediamo di raccontarla per bene. Innanzi tutto, il luogo dell’azione, Polla, piccolo comune del salernitano, poco più di 5.000 abitanti.In questo borgo arroccato della Campania, vive Michele Gentile, proprietario della libreria “Ex libris Café”, piccola oasi di resistenza all’avanzata delle grandi librerie monomarca, nonché fucina creativa di questo illuminato amante del suo lavoro e degli “oggetti” che tratta quotidianamente. Ebbene, questa figura atipica di librario (lui stesso si definisce un clochard dei libri), da anni si ingegna per promuovere il gusto della lettura soprattutto nei più piccoli e negli adulti che dovrebbero esser loro di esempio, tanto più che, come ci ricordano le statistiche, in Italia si legge molto poco e che il 10% delle famiglie italiane non ha nemmeno un libro in casa, mentre il 28% ne possiede meno di 25. Per stimolare il gusto per la lettura e garantire al tempo stesso la sopravvivenza della libreria quale presidio di cultura per il territorio, Gentile già

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Villa Lante, racconto magico di acqua e di verde

Fra i più bei giardini italiani del ‘500, Villa Lante stupisce il visitatore con meravigliose fontane che costituiscono un interessante “racconto” allegorico del rapporto Uomo-Natura. Di Alberto Piastrellini Un’idea per una gita domenicale alla scoperta della bellezza nascosta nel nostro patrimonio storico architettonico, non disgiunto da suggestioni verdi è rappresentata dalla mèta di Villa Lante, divertente capriccio del ‘500 italiano a pochi Km da Viterbo nel piccolo centro di Bagnaia. La visita alla Villa e al suo magnifico parco-giardino che ricadono fra i luoghi di cultura del Ministero per il Beni e le Attività Culturali – Polo Museale del Lazio offre la possibilità di immergersi in un contesto dove Arte e Natura convivono da sempre in un rapporto privilegiato mediato dalla presenza significativa dell’acqua utilizzata per costruire una sorta di messaggio cifrato nascosto nella presenza delle innumerevoli fontane che costituiscono l’attrazione principale del giardino stesso. Un po’ di storiaOltre 22 ettari di parco concepiti in primo luogo nei primi anni del ‘500 quando il Cardinale Raffaele Riario volle creare una sua personale riserva di caccia: il “barco”, cintando con un’alta murata la sommità di un intero colle. I proprietari che si succedettero nell’arco di un secolo, ovvero i cardinali Niccolò Ridolfi, (1538 – 1550); Giovanni Francesco Gambara (1568 – 1587), Federico Cornaro (1587 – 1590); Alessandro Peretti Montalto (1590 – 1623) apportarono modifiche consone alle proprie diverse esigenze e personalità aggiungendovi vari ambienti adibiti ad abitazione, scuderie e casini di caccia seguendo i gusti e la moda del tempo in un gioco di sovrapposizioni di stili diversi. Il tutto sino al 1656 quando Villa e Giardino passarono in enfiteusi alla famiglia Lante della Rovere che ne mantenne la proprietà sino al 1933. Villa Lante: suggestioni verdiPasseggiare nel Parco fra le selve di querce secolari, platani, cedri ed ippocastani cullati dal

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Studiare di più fa diminuire il rischio di contrarre patologie croniche

Secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale sulla salute effettuato su tutte le Regioni italiane, chi ha un titolo di studio più elevato previene i rischi di ipertensione, artrosi e artrite, osteoporosi, diabete e patologie cardiache. Di Annarita Felcini Più studiamo, meno rischiamo di ammalarci. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio nazionale sulla Salute studiare di più, oltre a dare dei vantaggi dal punti di vista lavorativo, previene anche il rischio di sviluppare malattie croniche. Sulla base dei dati dell’Istituto, diretto da Walter Ricciardi con sede a Roma all’Università Cattolica, nel 2017 nella fascia di età tra i 45 e 64 anni (quella in cui insorge la maggior parte delle cronicità), la percentuale di persone con licenza elementare o nessun titolo di studio era affetta da almeno una patologia cronica, pari al 56,0%. Ma scendeva al 46,1% tra coloro che hanno un diploma e al 41,3% tra quelli che possiedono almeno una laurea. L’artrosi/artrite, l’ipertensione e il diabete sono le malattie per le quali questo fenomeno è più forte e per cui si riscontrano i maggiori divari sociali; con riferimento ai titoli di studio estremi (nessun titolo-laurea) le differenze ammontano, invece, a 13,1, 12,5 e 7,4 punti percentuali a svantaggio dei meno istruiti. E si registrano differenze anche rispetto alle professioni. Le categorie più colpite da patologie croniche sono i disoccupati e gli autonomi: tra i primi la percentuale di coloro che soffrono di almeno una patologia cronica è di circa il 36,3%, mentre tra i secondi si attesta al 34,6%. Rispetto alla condizione di multicronicità, i disoccupati mostrano mediamente maggiori svantaggi rispetto ad artrosi/artrite e disturbi nervosi. Tra gli autonomi la patologia per la quale manifestano in media lo svantaggio più penalizzante è l’ipertensione. Nel 2018, invece, sempre secondo l’Osservatorio, le malattie croniche hanno interessato quasi il 40% della popolazione italiana, vale

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Le donne del Decameron: tutti i possibili modi di essere donna

Il Decameron di Boccaccio, oltre a essere una delle opere più note e importanti della letteratura trecentesca europea, è un omaggio alle donne e un’interessante sfilata di tipologie femminili. Di Anna Rita Rossi . I personaggi del gentil sesso – ritratti dal Boccaccio, attraverso le parole dei giovani che si dilettano a raccontare le novelle raccolte nel libro – risentono dei tempi in cui l’autore viveva, ma sono già proiettati verso una condizione più moderna.La leggiadra schiera di donne del Decameron è composta da figure con le quali il Boccaccio può presentare tutti i possibili modi di essere donna: dal più negativo al più positivo e grandioso. Entro tali confini, Boccaccio è capace di cogliere tutte le possibili sfumature.Può essere molto piacevole aggirarsi tra questi esempi femminili che incarnano, a seconda dei casi, una serie di atteggiamenti, vizi e virtù.Scorrendo le cento novelle, narrate in dieci giorni da un gruppo di giovani – sette donne e tre uomini che si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla peste nera – riscontriamo che Boccaccio è riuscito a rappresentare caratteri e personalità diverse senza trascurare nulla, e le varie situazioni in cui questi personaggi sono calati ne rivela non solo l’apparenza, ma anche i risvolti più intimi.Le donne delle sue novelle sono di volta in volta: astute, ingenue, virtuose, viziose, sciocche, sagge, piene di iniziativa, remissive, devote, fedeli, adultere.Insomma, una carrellata molto varia, ma quello che più conta è la vitalità insita in questi esempi femminili così ben tratteggiati.Se decidete di avventurarvi in questa magnifica opera, posso già farvi un’anticipazione: non ve ne pentirete.
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