arte

“Guerriere dal Sol Levante. La figura della donna guerriera in Giappone”

Al MAO di Torino omaggio alla figura della donna guerriera in Giappone con la mostra “Guerriere dal Sol Levante” fino al 1 marzo 2020. di Anna Rita Felcini L’Associazione Yoshin Ryu in collaborazione con il MAO – Museo d’Arte Orientale di Torino rende omaggio alla figura della donna guerriera in Giappone con la mostra “Guerriere dal Sol Levante. La figura della donna guerriera in Giappone” visitabile fino al 1 marzo 2020. Nella lunga storia del Giappone ci sono stati molti scontri e battaglie durante i quali le donne, in particolare quelle appartenenti alla classe guerriera, erano educate a compiere ogni incarico. Si occupavano della gestione finanziaria ed economica della propria famiglia, ma in caso di necessità potevano anche fare ricorso alle armi. La mostra al Mao vi porterà alla scoperta di queste donne guerriere attraverso oggetti storici e artistici provenienti dalle collezioni del MAO, del Museo Stibbert di Firenze e da collezioni private. Nel percorso espositivo potrete ammirare armi originali, una corazza decorata di un’armatura di scuola Myochin (la più importante ed estesa stirpe di fabbri giapponesi per armature da samurai), dipinti su rotolo verticale, stampe di celebri artisti di ukiyo-e (una tipica stampa artistica giapponese su carta, impressa con matrici di legno e fiorita in Giappone tra il XVII e il XX secolo), kimono, utensili e un elegante strumento musicale biwa settecentesco, simile ad un liuto. Il viaggio continuerà fino ai giorni nostri con video, riproduzioni di oggetti in 3D e una vasta collezione di oggetti rari e preziosi legati al mondo dei manga, degli anime e del cinema, media contemporanei che hanno raccolto l’eredità delle donne guerriere creando icone indelebili come Wonder Woman, Lady Oscar, Sailor Moon e la Principessa Leia di Star Wars. L’esposizione si conclude con 40 ritratti eseguiti da giovani artiste e artisti in omaggio

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Caterina II di Russia: imperatrice illuminata, mecenate e “Grande” donna

Molte donne hanno lasciato un segno tangibile nella storia, grazie alla loro intelligenza e alle loro capacità. Caterina II di Russia ha addirittura guadagnato l’appellativo di “Grande”. Di Anna Rita Rossi Nel saggio-romanzo di Virginia Woolf “Una stanza tutta per sé” (A Room of One’s Own) del 1929, considerato un testo cult della seconda ondata del movimento femminista degli anni ’60, la scrittrice inglese afferma che “For most of history, Anonymous was a woman” (Per gran parte della storia, l’Anonimo era donna). Più tardi questa affermazione è stata aneddotticamente trasposta in “Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”. Ma non tutte le donne sono rimaste alle spalle di un uomo, molte sono emerse dall’ombra e hanno brillato di luce propria, ritagliandosi nella storia un posto unico e ben definito. Una di queste è stata Caterina II di Russia, nota come, Caterina la Grande. Era il 17 novembre 1796, Caterina si era alzata e, come di consueto, aveva bevuto il suo caffè. Si era poi dedicata alla corrispondenza e agli studi e più tardi, era andata nel suo gabinetto privato. Preoccupato per la sua prolungata assenza, il suo attendente Zakhar Zotov aveva aperto la porta della stanza e aveva trovato l’imperatrice distesa sul pavimento: il volto violaceo, il polso debole, il respiro rantolante. Sollevata e condotta nella sua camera, Caterina fu visitata dal protomedico di corte, John Rogerson, chiamato d’urgenza, che diagnosticò che l’imperatrice aveva avuto un attacco cardiaco. Ogni tentativo di rianimarla fu vano e Caterina non si riprese più dal coma e alle 21:45, morì. Così si concluse la grandiosa vita di Caterina II, ovvero Sofia Federica Augusta di Anhalt-Zerbst. Caterina non era bella: aveva il naso troppo lungo; il mento era pronunciato; le labbra erano sottili e i suoi grandi occhi azzurri lanciavano sguardi severi e

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Unghie: una lunga storia tra distinzione sociale, arte, moda e seduzione

Unghie, le abbiamo sempre sotto gli occhi, ma quanti sanno che la loro decorazione ha una storia lunghissima fatta di mille sfumature di colore e ricca di connotazioni sociali? di Anna Rita Rossi Per risalire ai primi esempi di decorazione e cura delle unghie bisogna risalire a circa 5000 anni fa, dei reperti archeologici testimoniano tali consuetudini presso gli egizi e le dinastie orientali, in particolare, quella cinese. In Asia, nell’età del bronzo, le unghie si decoravano con tintura all’henné ottenuta dalla riduzione in polvere di alcune foglie essiccate. In seguito, in Mesopotamia, le unghie si dipingevano con vernici ottenute da zolfo e vari altri minerali, ma era una pratica di esclusivo appannaggio maschile, e in base al colore applicato si identificava la classe sociale di appartenenza: il nero era il colore dei nobili; il verde quello dei ceti inferiori. In quello stesso periodo, in Cina, anche le donne iniziano a decorarsi le unghie, utilizzando tinture vivaci derivate da pigmenti floreali. Le dinastie reali utilizzavano anche pietre preziose o altri ornamenti, come lamine d’oro per allungare le unghie. Tipo di decorazione, colore e lunghezza erano anche in Cina sinonimo di diversi tipi di potere e ruolo sociale. In Egitto, come in Mesopotamia e in Cina, il colore era rivelatore della classe sociale di appartenenza. Le donne di bassa estrazione si dipingevano le unghie con colori pastello, mentre quelle appartenenti a ranghi elevati usavano il rosso che aumentava di intensità con l’accrescersi della posizione sociale della persona che lo esibiva. Faraoni e regine decoravano le loro unghie con un rosso scuro. Per diversi secoli la nail art ebbe una notevole diffusione e fortuna, finché non subì un arresto nel Medioevo: in questo periodo ci si preoccupa meno della cura della persona; con il Rinascimento, la decorazione delle unghie torna in auge.

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La pittura dei Preraffaelliti in mostra a Milano

Si chiude il 6 ottobre la grande retrospettiva che Palazzo Reale dedica ai capolavori dei Preraffaelliti: 80 opere di 18 artisti britannici per celebrare la Bellezza, fra Natura, Arte e Vita. di Alberto Piastrellini Mancano ancora pochi giorni per poter ammirare dal vivo i capolavori della pittura inglese a Milano nella Mostra: “I Preraffaelliti. Amore e desiderio”, in programma a Palazzo Reale fino a domenica 6 ottobre. La celebrazione della Bellezza attraverso il medium della Pittura che corteggia Mito, Poesia, Letteratura, viene raccontata attraverso un percorso ragionato di 80 opere scelte fra un carnet di 18 artisti della Confraternita dei Preraffaelliti; una retrospettiva preziosa resa possibile grazia alla collaborazione fra l’istituzione milanese e la prestigiosa Tate Britain.  L’esposizione, all’interno della quale è possibile ammirare dal vivo dipinti-icona come “Ofelia” di John Everett Millais, “Paolo e Francesca” e “Il sogno di Dante al tempo della morte di Beatrice” di Dante Gabriel Rossetti, “Veduta di Firenze da Bellosguardo” di John Brett e “Il risveglio della coscienza” di William Holman Hunt si configura come una sorta di “viaggio” alla scoperta della “rivoluzione preraffaellita” nel contesto della corrente simbolista e della pittura dell’Età vittoriana in generale. Quella dei Preraffaelliti fu un’avventura tutta britannica (anche se debitrice di tanto immaginario italiano), nata come associazione artistica già nel 1848. I suoi esponenti (i succitati: John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti e William Hunt, ma anche Ford Madox Brown, William Trost Richards, William Morris, Edward Burne-Jones e John William Waterhouse) teorizzavano un ritorno dell’arte pittorica (ma non solo) alla purezza dello stile che precedette Raffaello Sanzio, da loro considerato il precursore dell’accademismo e del distacco dalla Natura in luogo di una semplice idealizzazione della stessa. Tale corrente di pensiero si inserì nel fluire del Decadentismo e recuperò l’immaginario iconografico di un Medioevo (questo sì molto idealizzato) da contrapporre alle istanze di una società ormai indirizzata sulla strada dell’industrializzazione con tutto quello che ne conseguì in termini di società, architettura e arti, ivi incluse quelle minori se si considera il lavoro

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Il Caffè: una bevanda inebriante con doti divinatorie

Un lieve mormorio, a seguire un profumo prepotente che si diffonde nell’aria: segnali ben noti a chi ama il caffè, una delle bevande più diffuse e amate in tutto il mondo. di Anna Rita Rossi Le origini del caffè pare siano piuttosto lontane: ricercatori hanno trovato scritti risalenti al X secolo che indicano come fosse utilizzato come medicina.Una leggenda attribuisce la scoperta del caffè a un pastore etiope che aveva notato gli effetti energizzanti di alcune bacche rosse sulle sue pecore.Con il tempo, dalle bacche si ottenne una bevanda che dall’Etiopia si diffuse in Yemen, dove venne creata la prima piantagione, poi il caffè fu gradualmente coltivato anche in Arabia ed Egitto.Per assaporare questa preziosa bevanda, gli europei dovranno attendere il XVII secolo e l’intraprendenza dei commercianti veneziani. Ai nostri tempi, vengono consumate ben 4 miliardi di tazzine al giorno e per qualcuno, specie di mattina, il caffè è diventato un vero e proprio “rito del risveglio”.Questa bevanda ha avuto famosi estimatori: Bach gli dedicò intorno al 1732 una cantata (Schweigt stille, plaudert nicht “Fate silenzio, non chiacchierate” – BWV 211, nota come Kaffeekantate) che ne decanta il gusto e ne sottolinea la diffusione. Nel brano musicale un padre cerca di vietare, con scarso successo, l’uso di bere caffè alla figlia che farà di tutto per non rinunciarvi.Sempre in ambito musicale, Beethoven pare avesse una piccola ossessione per il caffè: lo beveva ogni mattina, preparato con 60 grani esatti.Giuseppe Verdi, a sua volta, sosteneva fosse un balsamo per il cuore e lo spirito. Il magico infuso è stato anche fonte di ispirazione per famosi cantautori: ‘A Tazza ‘E Cafè cantata da Roberto Murolo è una canzone napoletana scritta da Giuseppe Capaldo nel 1918 e musicata da Vittorio Fassone.Nel testo della canzone una ragazza scontrosa viene paragonata a una tazzina di

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L’abbigliamento femminile nei quadri dei pittori impressionisti

L’Impressionismo cambia per sempre il modo di dipingere e nella sua aspirazione a rappresentare la realtà della seconda metà dell’Ottocento realizza anche un singolare viaggio nella moda femminile dell’epoca. di Anna Rita Rossi I pittori che aderiscono al movimento amano ritrarre i propri contemporanei nel loro ambiente e la rapidità di esecuzione e lo studio della luce e del colore sono finalizzati ad offrire una tranche de vie di quel periodo e le relazioni intercorse tra i vari personaggi rappresentati.Nelle grandi tele degli impressionisti sono numerose le scene conviviali da cui possiamo cogliere la moda del tempo, soprattutto femminile, per la ricchezza di abbigliamenti e di accessori che li completavano. Pittura impressionista ed evoluzione dell’abbigliamento si compenetrano, dando luogo a una singolare contaminazione.Fino alla rivoluzione francese, uomini e donne vestivano usando lo stesso stile: gli uni e le altre portavano colletti, nastri, cinture. All’inizio del XIX secolo, però, si assiste a un cambiamento radicale: gli uomini iniziano a portare abiti più sobri e meno appariscenti, privi di ornamenti, mentre le donne cominciano a dar maggior risalto alla silhouette, che nella seconda metà del secolo diventa una vera ossessione. Le forme geometriche che definivano la forma “ideale” del corpo si trasformano radicalmente.La struttura in crinolina, che sosteneva l’abito femminile, aveva all’inizio la forma di un triangolo con la gonna arrotondata e struttura che tendeva all’indietro; poi la crinolina comincia ad appiattirsi sul davanti, accentuando l’effetto di trascinamento della parte posteriore degli abiti. Questi cambiamenti di stile e di moda sono registrati così precisamente nei quadri degli impressionisti che la struttura stessa dei soggetti e la loro disposizione ne è influenzata. L’uomo, che ora veste di scuro e ha un abbigliamento austero, viene per lo più posto sullo sfondo dei quadri, mentre la donna è collocata davanti, in una posizione di risalto.

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La vacanza alternativa di chi sceglie l’eremo o il convento

L’immenso patrimonio architettonico-storico e religioso rappresentato da Conventi, Eremi e Monasteri offre anche incredibili opportunità di ospitalità per coloro che ricercano un’alternativa alta alla vacanza tradizionale. Tra natura, cultura, impegno e spiritualità di Alberto Piastrellini Ti svegli al mattino col suono attutito delle piccole campane che chiamano i fedeli alla preghiera, mentre dalle piccole finestre la luce del sole ritaglia scacchi luminosi su antichi pavimenti di cotto.L’assenza dei rumori quotidiani, il traffico, i clacson, l’onnipresente vibrazione di fondo delle nostre città è quasi straniante, all’inizio, ma l’orecchio si abitua subito ritrovando panorami sonori più consoni al nostro essere animali: i canti degli uccelli, lo stormire delle fronde, il ronzio degli insetti. Il tempo sembra sospeso, infinito; le ore del giorno si dilatano incomprensibilmente mentre gli occhi riscoprono con stupore le impercettibili variazioni di luce cui normalmente non si bada presi dalle urgenze del lavoro e dal ritmo artificiale delle nostre esistenze. Nell’assenza di stimoli artificiali e nel timore di rompere una ritrovata armonia è facile abbandonarsi alla riflessione, alla meditazione, alla ricerca interiore e, dopo qualche giorno, complice un’alimentazione gustosa e bilanciata al tempo stesso, il corpo e lo spirito sembrano rinnovati come un prato dopo un acquazzone. La vacanza ideale, preziosa per i suoi benefici, non solo sulla mente, è alla portata di tutti eppure lontanissima dai cataloghi delle agenzie di viaggio e dalla fascinazione artificiale delle mète commerciali. Costa poco, rende parecchio e spesso non implica neppure faticosi spostamenti lungo autostrade intasate e infuocate, anzi, predilige arterie secondarie che consentono di riscoprire paesaggi e territori poco battuti… Monasteri, Eremi, Abbazie, Conventi, da sempre garantiscono la solitudine e l’isolamento della vita cenobitica e monastica con l’afflato dell’accoglienza: un tempo ai pellegrini e ai viandanti, oggi, verso i nuovi cercatori di un senso del vivere. E l’estate, con le sue

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Cammini: la Via Femminile per l’estate 2019

La IX edizione del Festival Europeo della Vie Francigene, Cammini, Ways, Chemin celebra la sensibilità femminile nei paesaggi umani e naturali. Oltre 600 gli eventi in programma di Alberto Piastrellini Negli ultimi anni è aumentato il numero di coloro che hanno riscoperto il piacere e il benessere psicofisico derivante dal camminare; attenzione, non stiamo parlando della salutare passeggiatina quotidiana, ma del mettersi letteralmente in viaggio usando le proprie gambe come mezzo di locomozione. Una forma di viaggio slow che recupera tradizioni millenarie di pellegrinaggi e mete legate alla dimensione religiosa e spirituale in genere che, oggi, si veste di ulteriori fascinazioni che si allacciano al recupero del tempo e della dimensione naturale del vivere, della riscoperta della natura e, perché no, del rifiuto temporaneo dai meccanismi della quotidianità per riscoprire la dimensione interiore del senso del viaggio e stringere amicizie e rapporti con altri camminatori. Un fenomeno in crescita a livello europeo, ove i più noti cammini di Santiago di Compostela e della Via Francigena sono frequentati annualmente da migliaia di utenti e ugualmente in crescita in Italia, ove la presenza di Roma, centro della fede cattolica e di centinaia di Eremi, Abbazie, Conventi e Santuari ha favorito, nei secoli, il moltiplicarsi di Vie e sentieri che hanno costituito, nel tempo, una sorta di sistema arterioso della circolazione di fede, cultura, arte, merci e narrazioni. Un patrimonio incalcolabile che mette in rete città d’arte, borghi, castelli, chiese e luoghi religiosi in un contesto paesaggistico ove natura e società hanno convissuto per secoli sino alla riscoperta degli ultimi anni dopo quasi due secoli di oblio. I numeri di camminatrici e camminatoriGiusto per fornire qualche dato: lo scorso anno, per la prima volta, il numero delle “credenziali” rilasciate a coloro che hanno camminato in Italia ha superato quello degli italiani che hanno

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