Quanto è duro il mestiere dell’adolescente !

abbiamo voluto scrivere una riflessione sulla realtà dei giovani d’oggi, tra ansie, preoccupazioni e prospettive 

Gli addetti ai lavori le chiamano “le nuove sofferenze degli adolescenti”, che ribolliscono dentro l’anima di tanti e tante giovani, proprio nel periodo in cui questi si affacciano alla vita. O, almeno, dovrebbero farlo. Anoressia, suicidalità, ritiro sociale e quel continuo “magone dentro” che rende la quotidianità insoddisfacente e fastidiosa. 

Di fronte a questi nuovi malesseri giovanili, che poi sono quelli di sempre, mutati geneticamente con lo sviluppo della società, ecco che diversi psicologi, psichiatri e professionisti della scienza dell’educazione, prima di pensare alle diagnosi, preferiscono trattare quello che viene definito “il crollo in adolescenza”, un qualcosa che manda in frantumi gran parte dei riferimenti dei giovani, che si trovano (all’improvviso) da essere fragili creature dipendenti dalla figura genitoriale, a dei quasi adulti, chiamati a spiccare il volo. Spesso, però, sempre rimanendo fragili. Ma questo “crollo” deve rappresentare per forza qualcosa che va in frantumi? Se vogliamo essere utili agli adolescenti (noi, adulti, genitori, medici, psicologi, educatori, insegnanti) dobbiamo aiutare ragazzi e ragazze ad affrontare questo crollo, non tanto come qualcosa che va in frantumi (il passato da bambino e  da ragazzino?) bensì come il passaggio dentro una tempesta adolescenziale, al di fuori della quale ci si asciuga indirizzando lo sguardo verso nuove opportunità e nell’eccitazione di investire su nuovi progetti. L’adolescente è un equilibrista (di quelli che camminano sul filo a dieci metri d’altezza, tenedosi in bilico con una lunga asta) e la figura adulta (genitore, educatore, insegnante, medico, psicologo) deve essere quell’asta, che mantiene l’equilibrio tra i movimenti dettati dall’inesperienza giovanile e quelli della (presunta) maturità dell’adulto. L’adolescente deve diventare quell’entità umana capace di essere indipendente dai propri oggetti e, ancor più complicato, dai propri legami (dai genitori? Certo, ma non solo, anche dagli amici e dai comapagni di classe che si cambiano e si conoscono per la prima volta). 

Ma torniamo a quel crollo: anziché come un tutto che si sfracella al suolo, creando macerie, dobbiamo vederlo come una rottura, tra passato e futuro, che crea rovine. Che differenza c’è tra macerie e rovine? Le macerie sono una materia ormai irrecuperabile ammassata in ordine sparso, il cui disastro è irreversibile. La rovina, invece, è qualcosa su cui devi investire per ricomporla e ripristinarla, più forte di prima. Quindi quel crollo va visto come sviluppo, come opportunità, anzichè come disavventura. 

E poi l’adolescenza è quella fase della vita in cui “la mente sta in tutto il corpo”: il corpo dell’adolescente parla e quando l’adolescente non riesce a parlare con la bocca, ecco che il suo corpo parla per lui. Eccome se lo fa. E se pure il corpo non trova risposte, si ripiega, si chiude non trova valvole di sfogo, anzi, le trova nei sintomi più allarmanti: disturbi dell’alimentazione, chiusura sociale e aggressività. E allora? Cosa fare?

Quando la persona molto giovane ha un problema (tanti problemi) pensa, rimugina, ha le idee che si aggrovigliano, il suo crevello va in overthinking, creando un loop che riempie la mente e logora il corpo. Questi pensieri hanno bisogno della mente “dell’altro”, che accolga (come in una casa confortevole) quell’angoscia che, se non “accolta” in quella casa confortevole, viene scaricata nel corpo. Quindi ecco la prima risposta: i giovani vanno ascoltati, e in questo ascolto l’adulto deve sforzarsi di conoscere il giovane che ha davanti. Prima ancora di comprenderlo, occorre conoscerlo. Poi possiamo passare alla comprensione, ma con l’efficacia dell’averlo conosciuto. L’adulto deve chiedere al giovane “chi sei e come stai”. Occorre stimolare gli adolescenti al confronto e al dialogo non solo con la figura adulta, ma anche con i pari, affinchè si crei quella sorta di interscambio di idee, opinioni, preoccupazioni, ansie, mediate (ricordate l’asta dell’equilibrista?) tra i pari e la figura adulta. Ciò deve stimolare al pensiero critico, che si ciba di dialogo e di esperienze nuove, che creano un equlibrio, un’armonia, tra corpo e mente, che poi è l’antidoto a quel narcisismo (tipico giovanile) che ti fa entrare in una concezione binaria della vita (o bianco o nero) che spesso è il terreno fertile per idee anticonservative, crisi di rabbia, stress e tanto altro di dannoso per i giovani. E poi c’è il concetto dell’errore: oggi c’è tolleranza zero per l’errore, invece il giovane va lasciato sbagliare, perchè deve sperimentare.  

In tutte queste fasi, fondamentali sono i piccoli gruppi dei pari: che rappresentano il traghetto dal quale transiti dalla dipendenza dalla figura genitoriale a quella graduale, ma costante, indipendenza. Tutti questi sono gli antidoti per riempire il vuoto che gli adolescenti hanno dentro. Marracash, nel brano “Tutto questo niente”, dice che “riempio il tempo e non colmo il vuoto”, quanto di più vero per accendere la luce sulla realtà di questa nuova generazione. Che con i social e con i mille impegni per alienare la noia, come fosse il massimo delle disgrazie, riempiono lo spazio temporale, ma non quello emotivo.

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