La randagia resistenza della ragazza di via Millelire

Nel 1980 usciva il film “La ragazza di via Millelire” che rappresentava la cruda realtà delle periferie 

Quando uscì, nel 1980, fu un pugno allo stomaco per una società ormai esausta da quasi un decennio di anni di piombo. Divise l’opinione pubblica, tra chi la considerava una pellicola troppo cruda e severa, ingenerosa per la città di Torino e chi invece la riteneva un documento utile ad aprire gli occhi della gente, soprattutto della borghesia perbenista, sulla dura realtà delle periferie italiane. Realtà che quasi sempre si ritorce contro i più deboli, i più fragili, vale a dire donne, bambini e ragazzini. Ed è una ragazzina di tredici anni, Betty, la protagonista de “La ragazza di via Millelire”, il film del regista Gianni Serra ambientato nei quartieri periferici più martoriati dalla difficoltà di integrazione di chi, dalla metà del secolo scorso, lasciava il meridione dell’Italia per cercare lavoro e fortuna nella capitale dell’automobile. Betty frequenta un centro d’incontro per giovani disadattati in via Millelire, a Mirafiori Sud, estremità di una Torino che aveva troppo da lavorare e da produrre, per star dietro ai drammi e al disagio di un’umanità che il cuore della città voleva nascondere, non voleva vedere. La ragazzina (interpretata dall’attrice Oria Conforti, oggi affermata sessantenne) ha una famiglia disgregata, che la lascia gironzolare nelle zone più anguste del capoluogo piemontese, in balìa di ladri, spacciatori e coetanei che si arrabbattano tra piccoli furti e il centro d’incontro frequentato dalla stessa Betty, gestito da Verdiana. Quest’ultima è un’assistente sociale (interpreatata da Maria Monti, una cantautrice milanese prestata al grande schermo) che, alla meno peggio, cerca di dare conforto e un minimo di educazione ai ragazzini, randagi, senza prospettive e aspettative. . 

La quotidianità della giovane è tutto un girare nervosamente tra vie pericolose, accettare controvoglia inserimenti in comunità per minori, che regolarmente si risolvono con fughe della stessa, alla ricerca di una libertà che neppure lei riesce a realizzare nella propria mente. 

La capacità del regista è stata quella di far immaginare allo spettatore scene di inaudita violenza senza però mai palesarle agli occhi del pubblico. I due esempi plastici, di questa dote nel girare il film, sono rappresentati da una scena in cui si capisce benissimo che Betty subisce una violenza carnale da una ragazzo poco più grande di lei, con l’inquadratura che vuole far “vedere” il dramma che si sta consumando attraverso gli occhi dei coetanei presenti. Un’ altra scena, che non si vede ma che il regista fa immaginare con una sceneggiatura estremamente cruda, è quando Betty, per vendicarsi contro una ex compagna di una comunità per minori,  convince quest’ultima ad accettare un incontro con dei ragazzi tossicodipendenti e disadattati, che approfitteranno della fragilità della stessa. Un terzo esempio è legato alla fuga disperata di una bambina di dodici anni da un padre che la sta rincorrendo per picchiarla, dopo aver scoperto che la piccola è rimasta incinta. Del padre stesso.  

“La ragazza di via Millelire” è una pellicola cruda, resa ancora più reale dal lessico utilizzato da quella gioventù: un lessico che ha tanto il sapore degli anni settanta e ottanta torinesi: “picio”, per indicare uno un po’ scemo e sprovveduto, “imabarcato”, come sinonimo di innamorato, “Dio fa !”, una sorta di bestemmia giovanile dove il “fa” deriva da “fauss”, ovvero “falso”

E in questa gioventù, vittima e al tempo stesso carnefice, senza prospettive e senza riscatto, Betty sembra quasi specchiarsi, riflettendo un’immagine di sè da cui trapela tutta la fragilità, ma anche tutta la propria forza, nel tirare avanti. Alla meno peggio. 

Betty diventa così il simbolo di una resistenza alle brutture della vita,  scegliendo sempre le persone, i metodi e gli strumenti sbagliati. Ma pur sempre di resistenza si tratta. 

In questo film le uniche attrici professioniste sono la già citata Maria Monti e Silvana Lombardo (che interpreta una collega dell’assistente sociale), per il resto la pellicola è realizzata da giovani e adulti presi un po’ dalla strada e un po’ da contesti teatrali dilettantistici.     

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