La prima magistrata umbra che sfidò convenzioni e pregiudizi    

Quando la predisposizione allo studio delle leggi prevale sul ricamo.

Siamo nel mese di aprile del 1965 e al Tribunale di Roma tra gli uditori giudiziari agli esordi della professione c’è pure una giovanissima uditrice. Il suo nome è Gabriella Luccioli. A ripercorrere la sua storia e quella di altre colleghe è la giornalista Eliana Di Caro con la sua pubblicazione dal titolo evocativo “Magistrate finalmente” Il Mulino editore. L’intento dell’autrice sta nel proporre un focus sulle “temerarie” vincitrici del primo concorso che, nel 1963, aprì le porte della magistratura alle dottoresse in giurisprudenza. L’avvincente ricostruzione si avvale, come è giusto che sia, di documenti e testimonianze di vario genere. 

Restringendo il campo di attenzione sulla dottoressa Luccioli, apprendiamo che la ragazza proviene da una famiglia della media borghesia umbra. Nello specifico la famiglia è originaria di Terni: il nonno era professore di latino e greco, la mamma docente di lettere, mentre il papà era viceintendente di Finanza. Così dopo aver frequentato il liceo classico, la ragazza matura una scelta che, a dire dell’autrice, spiazza tutti. Il passo che desta stupore è quello di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma. 

Nel novembre del ’62 la Luccioli si laurea con lode in diritto penale. La tesi verte sulla responsabilità per reati commessi a mezzo stampa. Ad assegnargliela è il futuro ministro della giustizia Giuliano Vassalli. Che cosa si fa con una laurea del genere nelle mani di una donna? L’avvocatura non sembrava essere nelle sue corde, ma una legge sopraggiunge al momento giusto per aprire un varco tra le prospettive della giovane e talentuosa dottoressa. Si sta parlando della legge n.66 del 9 febbraio 1963 che dà seguito alla sentenza della Corte costituzionale che stabilisce quanto segue.

“La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impeghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera”.  Da qui l’ingresso alla scuola di preparazione all’esame, il passo è breve. La dottoressa Luccioli è l’unica ragazza del corso, ma lei non sembra il tipo da dedicarsi “solo” allo studio, seppur impegnativo. Infatti parallelamente la giovane lavora insegnando economia e diritto in una scuola privata per adulti. Un lavoro che le assicura indipendenza economica e che lei continuerà a tenersi ben stretto fino alla vittoria del concorso.

Un’ascesa piuttosto veloce se si considera anche il clima del tempo poi non così benevolo verso le donne che non seguivano i percorsi comuni. Parafrasando la celebre frase “L’Italia è fatta ora bisogna fare gli italiani”, si potrebbe dire che “la legge era fatta ora bisognava fare i magistrati”. Per capire di cosa si sta accennando, ritorniamo all’ “accoglienza” tributata alla Luccioli in quell’aprile del 1965 di cui sopra. Nonostante gli indiscutibili meriti della giovane magistrata, l’allora procuratore generale, Luigi Giannantonio, non sembra aver voluto trovare di meglio da leggere che un passo di Francesco Filomusi Guelfi. Stando alla postilla dell’autrice, Guelfi è stato un filosofo del diritto ottocentesco nonché membro della Commissione per l’esame del disegno di legge “Capacità giuridica delle donne – sulla predisposizione femminile al ricamo e al cucito”.

Una scelta di campo che lascia perplessi al punto che è la stessa Luccioli a dire quanto segue.  “Mi aspettavo che il procuratore prendesse le distanze da quella citazione e invece ne trasse spunto per bollare come un errore imperdonabile la legge che apriva le porte della magistratura alle donne”. Per limitare forse i danni, il procuratore si fa promotore di un’istanza, proseguendo però sulla stessa linea. E cioè che le neo giudici fossero tutte assegnate ai Tribunali per i minorenni. Ma ancora una volta la Luccioli fa di testa sua: decide infatti d’incamminarsi in un altro impervio percorso quello cioè che sarebbe culminato con il ruolo di presidente di sezione della Cassazione.      

E tra le “intrepide” magistrate che contribuirono ad un cambio di passo nella storia della magistratura italiana vanno annoverate insieme all’umbra Gabriella Luccioli anche Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella d’Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo e Ada Lepore. Un team di giudici “in gonnella” e di eccellenza che con la loro caparbietà e preparazione sfidarono e vinsero i pregiudizi maschilisti fortemente radicati in ambito giudiziario.    

Di Maria Teresa Biscarini

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