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Cosa dovrebbe fare un buon genitore?

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Ero un buon genitore finché non è nato il mio primo figlio. Succede proprio così, il ruolo genitoriale è spesso più facile a dirsi che a farsi. Quando ancora non lo siamo, abbiamo un’immagine piuttosto ideale di cosa sia un buon o un cattivo genitore. Succede spesso di ritrovarsi a esprimere con determinazione le proprie convinzioni sull’azione genitoriale. Poi, accade che ogni figlio che arriva porta con sé l’inaspettato e, allora, ci si rende davvero conto che non si è più soli a ballare. Educare è una vera e propria danza, una ricerca di equilibrio tra tenere stretto e lasciare andare.

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L’attitudine alla genitorialità

Il valore che diamo al ruolo del genitore, l’idea che abbiamo di bambino e l’intenzionalità educativa non sono situazioni date una volta per tutte. Sono, piuttosto, pilotate dal contesto storico, sociale e culturale in cui ci troviamo a esistere. È però anche vero che, in ogni epoca e in ogni parte del mondo è presente una matrice comune che riguarda la genitorialità. Questa affonda le sue radici in quel senso della vita che è dato dalla natura, dall’origine di tutto.

Si tratta, in sintesi, del concetto di sopravvivenza della specie. In natura, il genitore funzionale (inteso non soltanto relativo al genere umano) manifesta l’istinto alla cura e alla protezione della generazione che è successiva alla sua. A tal proposito, possiamo infatti trovare diverse testimonianze di situazioni in cui l’individuo genitore si è trovato in qualche modo a sacrificare se stesso affinché il figlio potesse sopravvivere e proseguire, pertanto, la specie.

Un’importante attitudine naturale che appartiene a ognuno di noi. Ma è anche vero che questa identità primordiale può assopirsi a causa dei turbamenti vissuti nella vita moderna che, sappiamo, rischiano di farci allontanare dalle competenze innate, come la suddetta genitorialità di cui siamo geneticamente dotati.

La devozione genitoriale, ben spiegata dallo psicologo inglese Donald Winnicott attraverso i concetti di holding, handling e object-presenting, è la modalità innata con cui la persona che si prende cura del bambino è in grado di adeguarsi ai suoi bisogni e di riuscire, quindi, a favorire un ambiente appropriato alla crescita e al corretto sviluppo.

Tecnicamente, l’object-presenting è, secondo Winnicott, la capacità della madre di mettere l’oggetto a disposizione del suo bambino nel momento in cui ne ha bisogno, quindi né prima né dopo. Ad esempio, offrendo lui il nutrimento nel momento in cui manifesta espressione di fame. Nell’ambito dell’attività mentale del bambino, quando anticipiamo il bisogno convinti che sia utile e necessario stimolarlo, ci troviamo invece a ostacolare l’esperienza del desiderio e stiamo interrompendo la crescente capacità di reagire a quelle piccole frustrazioni fondamentali per crescere e per continuare a desiderare.

Quando, al contrario, tardiamo eccessivamente nel presentargli l’oggetto di cui ha bisogno, il bambino tenderà a sentire una frustrazione maggiore di quella che potrebbe sopportare e, in reazione al sentimento di collera, sarà spinto a rinunciare o, peggio, a sopprimere il suo desiderio per difendersi dal senso di angoscia.

Attraverso la funzione di holding, sostegno, e di handling, ossia l’insieme delle attività di manipolazione del corpo che riguardano azioni di cura come massaggi, coccole ma anche vestizione, pulizia, ecc…, il genitore agisce da contenitore delle angosce del bambino. Si realizza una sorta di spazio fisico e psichico in cui il piccolo si percepisce accolto, rassicurato, incoraggiato, riconosciuto e sostenuto. È in questo contesto che può costruire un’immagine autentica di sé.

In sostanza, queste azioni realizzano quello che viene definito come ambiente sufficientemente adeguato, ossia, la situazione più opportuna in cui poter crescere. Un luogo in equilibrio tra la scarsità di cure che, come abbiamo visto, attiverebbe lo stato di angoscia, e l’abbondanza di queste che porterebbero a uno stile genitoriale perfezionista, tendente ad anticipare (e quindi a ostacolare) l’azione del bambino sul mondo.

Il genitore sufficientemente buono

Ora penserai: certo, è tutto molto bello anche se non è così semplice da attuare, soprattutto se si considerano le tante azioni e necessità che intercorrono nella quotidianità. Riuscire a rispondere in maniera adeguata al bambino o alla bambina sembra un’impresa da supereroi, seppure il livello richiesto abbiamo compreso essere soltanto… la sufficienza! Non posso che darti ragione e dirti che certamente ti troverai in situazioni dove inevitabilmente anticiperai o tarderai la risposta al bisogno di tuo figlio. Posso dirti che esiste una soglia in di accettabilità entro la quale non s’influisce particolarmente sul corretto sviluppo del bambino.

Nonostante siamo già naturalmente dotati e pronti a essere genitori, è anche vero che il compito genitoriale si apprende sul campo, con il bambino reale e la situazione concretamente vissuta.  

L’importante è che tu acquisisca fin da subito la consapevolezza del funzionamento dell’attività mentale del bambino a partire dai primissimi giorni di vita e di come lo stile nella cura può influenzare, da un estremo all’altro, il suo sviluppo psico-fisico. In questo modo, potrai cercare di rimanere nei pressi del punto di equilibrio in cui si trova il genitore sufficientemente buono e, nonostante le scivolate che ti troverai a vivere lungo il percorso, farai, di certo, un ottimo lavoro.

Se tieni a mente questa linea, ti renderai presto conto di essere in grado di riconoscere e di sintonizzarti con i tempi e i bisogni del tuo bambino. Proverai anche una piacevole sensazione. Quella di essere sul pezzo, del tutto capace di affrontare le colline e le montagne del percorso di crescita.

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Dal bambino immaginato al bambino reale

Prima ancora di insediarsi nel ventre della mamma, un figlio esiste già nella sua testa. Potremmo fantasticare che, a un certo punto, il bambino pensato abbia deciso di scendere al piano di sotto per diventare realtà. Seppure in maniera diversa, il bimbo si trova anche nella testa del papà. Qui non esiste un altro piano in cui abitare ma il valore della sua presenza non è di certo complementare a quello materno.

Non potendo conoscere quale sia la tua situazione, come sei o come stai diventando genitore e se il concepimento sia stato un evento fortuito o desiderato; proverò a tracciare delle linee generiche e simboliche sul valore del ruolo materno e paterno, immaginando un contesto in cui, quel figlio, sia arrivato da un progetto della coppia genitoriale.

Ho, tra le mani, un albo illustrato che trovo particolarmente prezioso nel raccontare il sentimento genitoriale legato al contrasto psichico tra bambino immaginato e bambino reale. Si tratta di “Il progetto” (Kite Editore, 2019). Le autrici, Brigitte Minne e Kaatje Vermeire, hanno interpretato il percorso vissuto dalla coppia quando decide di avere un bambino.

Una coppia ha in mente di avere un bambino. Nel racconto questa condivisione diventa un vero è proprio progetto con tavole, calcoli e bozzetti. Nella prima parte si denota l’intenso sentimento vissuto durante la genitorialità immaginata. Il brano che segue, tratto dal libro, conduce in maniera metaforica alla costruzione della genitorialità.

Lei e Lui non avevano mai fatto un bambino prima. Cominciamo il progetto, disse Lui. Lei prese una matita e cercò il più bel foglio di carta che aveva nel cassetto. Lui ne temperò la punta e disegnò una linea. Era piena di amore. E Lui era così concentrato che gli tremavano le mani. Il segno era incerto e allora Lei lo cancellò perché non voleva un bambino insicuro. Lui ricominciò da capo. Con più amore e senza più tremare. A turno disegnarono linee, punti, circoli riccioli. Ci fu qualche altra cancellatura perché Lei trovava che le gambe fossero troppo lunghe. Ci fu qualche altro disegno perché a Lui piacevano i capelli più ricci.

Brigitte Minne, Il Progetto

Quando poi il bambino diventa reale, i due scoprono quanto sia completamente diverso dal figlio immaginato o, meglio, progettato. Si tratta di un sentimento tipico nei neo genitori. Ogni bambino alla nascita trova già accanto a sé un baule pieno di aspettative e speranza.

Il fatto di aver immaginato il bambino che arriverà può avere una connotazione positiva in quanto permette al genitore di prepararsi ad accogliere il figlio e a maturare il sentimento di amore incondizionato, indispensabile per la sua crescita e sostentamento.

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D’altra parte, è necessario alla nascita, riuscire ad accogliere il bambino reale, con tutte le caratteristiche con il quale è arrivato al mondo. Diventa fondamentale mettere un po’ da parte quel bambino immaginato per poter imparare a conoscere quella nuova persona senza condizionamenti e un eccessivo carico di aspettative.

Questo ragionamento potrebbe apparirti assurdo ed è probabile che tu sia già pronto, o pronta, a dirmi: “Non è vero! Io ho amato mio figlio, mia figlia, dal primo sguardo”. Sono certa che la tua affermazione sia autentica e sincera ma credimi se ti dico che, durante la crescita, quel bambino immaginato potrebbe tornare in diverso modo a interferire con l’amore incondizionato verso il figlio reale e, se non diventi sufficientemente consapevole di questo processo mentale, potresti trovarti a giudicare o etichettare il bambino, anziché riuscire a condurlo nella sua crescita considerando la sua individualità.

Quindi, porta sempre con te l’idea che avevi del tuo bambino prima che arrivasse, in quanto rappresenta la fiamma che innesca l’amore genitoriale. Portala dunque con te ma conservala in un cassetto, ora c’è un bambino reale che ha tutto il diritto di essere accolto senza sentirsi sbagliato, in qualunque condizione si trovi nel momento in cui è venuto al mondo.

Tornando al progetto iniziale, antecedente alla nascita, posso dirti che è importante che tu sia riuscito/a a condividerlo con l’altro genitore e che, insieme, siate stati in grado di ascoltare ed esprimere a vicenda i vostri desideri e le vostre paure. Questo interessamento ai sentimenti dell’altro può essere considerato alla base della coppia che si modifica e diventa genitoriale, trovandosi a condividere uno dei ruoli più intensi e trasformativi della vita umana.

Anni dopo Lui e Lei erano alla finestra e guardavano fuori. Il bambino aveva l’impermeabile abbottonato storto e saltava con gioia nelle pozzanghere. Contava a voce alt: uno, quattro, otto, dieci. Lui e Lei guardarono una volta di più i disegni sul muro. “Il nostro bambino è venuto fuori completamente diverso”, disse lei dolcemente.

Brigitte Minne, Il Progetto

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