Donna Fresia

Acconciature nell’antico Egitto prima parte

di Benedetta Giovannetti Gli egizi sia uomini che donne curavano molto il loro aspetto fisico e questo faceva sì che si preoccupassero anche dei capelli. Le pettinature e le parrucche aiutavano a mettere in risalto i gioielli e i vestiti completando l’abbellimento del corpo. I capelli dei bambini ad esempio erano raccolti in un ciuffo che ricadeva sulla spalla destra coprendo l’orecchio. Il ciuffo poteva essere intrecciato oppure poteva essere una semplice coda di cavallo, mentre il resto dei capelli era tagliato molto corto o completamente rasato. All’età di dieci anni, con la circoncisione il ciuffo veniva tagliato segnando così il passaggio all’età adulta, mentre le bambine portavano di solito i capelli corti, sebbene nel nuovo regno appaiono usanze differenti. Gli uomini di tutte le classi sociali come regola generale portavano i capelli corti anche se a seconda della posizione sociale esistevano diversi stili. Ad esempio gli alti dignitari portavano piccoli ricci che coprivano le orecchie formando una curva dalle tempie alla nuca. Le donne invece seguivano la moda, prima nell’antico Egitto con una predilezione per i capelli corti o di lunghezza media poi col passare del tempo le chiome si allungarono e vennero raccolte in treccine sottili. Il lavaggio dei capelli era una pratica essenziale e si usavano oli e profumi per la cura dei capelli e tinture per nascondere i capelli bianchi. I sacerdoti invece dovevano radersi completamente testa e corpo come purificazione per entrare nei templi.
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Acconciature nell’antica Roma

di Benedetta Giovannetti Il romano medio sino al V secolo avanti Cristo non si curava molto delle proprie acconciature e usava portare i capelli sciolti. Quando forse nel 300 a.C. fu aperta a Roma la prima bottega di barbieri i romani cominciarono a frequentarla per tenere a posto i capelli con un taglio di capelli semplice e corto. Per quanto riguarda i maschi la cura della loro persona era affidata al tonsor una specie di barbiere privato e costoso per i più ricchi oppure pubblico che nella sua bottega o all’aperto per strada tagliava i capelli e sistemava le barbe. Di solito questi uomini si davano da fare a sistemare i capelli secondo la moda che in genere era dettata dall’imperatore in carica. Ma di solito le acconciature degli imperatori da Traiano in poi seguivano quella dell’imperatore Augusto che non amava perdere troppo tempo in acconciature per capelli troppi lunghi o riccioluti. All’inizio del secondo secolo quindi i romani si accontentavano di una sistematina a base di qualche colpo di forbici che di solito erano lame unite da un perno al centro con degli anelli alla base. Per quanto riguarda le donne esse avevano a disposizione per la loro toeletta catini, specchi di rame, d’argento o di vetro ricoperti di piombo e se ricca aveva addirittura una propria vasca da bagno che le consentiva di evitare i bagni pubblici. Poteva poi adornarsi con pettini spille o unguenti e gioielli. In epoca repubblicana la donna divideva i capelli a metà con una scriminatura e poi li legava dietro la nuca oppure faceva delle trecce raccolte in un cercine sulla fronte. Le matrone erano solite farsi acconciare dalle serve pettinatrici che correvano il rischio di essere punite se l’acconciatura non soddisfaceva la signora. In casi di calvizie della padrona le serve vi

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Eudialite, pietra ignota ai più, conosciamola meglio

di Benedetta Giovannetti L’eudialite è una pietra rossa magenta con delle venature bianche e nere, adatta per lavorare sul secondo chakra, il centro dell’energia sessuale, ed è appartenente alla famiglia dei silicati. Non è molto nota in cristalloterapia e in gioielleria in generale infatti molto spesso è usato come uno zircone o comunque come una pietra minore, ma il fatto che sia così poco conosciuta la rende molto appetibile ai collezionisti di minerali. I suoi giacimenti più noti sono in Canada, Russia e in Brasile ma talvolta sono stati trovati giacimenti anche in Arkansas. Lavora molto sull’energia sessuale fisica, stimolandola e aiutando a superare traumi che riguardano questa sfera della vita. Aiuta a fare un profondo lavoro introspettivo per riconoscere e accettare le proprie debolezze che spesso cerchiamo di ignorare e nascondere agli altri ma che dovremo accettare senza lasciarci sopraffare da esse nel momento critico. Per quanto riguarda il piano emotivo permette di elaborare l’ansia, il dolore e il lutto, aiuta altresì a riprendere le energie che abbiamo esaurito dopo un intenso sforzo fisico. La pietra si pulisce immergendola in acqua non salata o posizionandola su una drusa di ametista o di cristallo di rocca, ma non va esposta al sole direttamente. E’ sconsigliato indossarla di notte in quanto può provocare una certa difficoltà a dormire.
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Trucco nell’antico Egitto alla scoperta del make-up più affascinate

di Benedetta Giovannetti Da sempre il trucco egiziano affascina curiosi e addetti ai lavori del mondo del make-up che lo hanno studiato e lo studiano tutt’ora cercando di riprodurlo in versione più o meno fedele all’originale. Ciò che colpisce di più è l’utilizzo di elaborati maquillage pensati per le donne. I reperti antichi mostrano quanto questa civiltà fosse avanzata in tema di make-up usando sfumature brillanti e coloro vividi creando trucchi elaborati e raffinati. Di questo trucchi ci sono pervenute molte testimonianze dalle quali si evince l’attenzione di questa popolazione per trucco, pettinature e look e per la cura del corpo e della bellezza. Attenzione predominante del trucco egiziano è data agli occhi per i quali erano usati la malachite, un carbonato di rame verde intenso e la galena, un solfuro di piombo molto scuro. A questi due venivano aggiunti grassi animali come cera d’api o resine per agglutinarli e si stendevano sulle palpebre mediante l’uso di appositi bastoncini di legno e stesi generosamente in modo da proteggere gli occhi da malattie infiammatorie della congiuntiva e evitare l’abbassamento di vista al tramonto curando altresì la congiuntivite. Il trucco che allungava gli occhi a goccia aveva altresì valenza religiosa riproducendo gli occhi del Dio Horus. Per quanto riguarda la pelle essa veniva levigata con un unguento a base di cera d’api, incenso e olio di oliva amalgamati a latte fresco da usare per sei giorni di seguito. Per schiarire la pelle invece si usava un composto di alabastro, miele, sale e natron che era usato anche per l’imbalsamazione. Per il colorito roseo al volto era usata invece l’ocra rossa da applicarsi in polvere sulle guance o se mischiato ad un legante grasso fungeva da rossetto. Anche per le tinture di capelli e unghie si usava un prodotto terapeutico, l’henné che possiede

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Claddagh ring, tante leggende un unico pegno d’amore

di Benedetta Giovannetti Il Claddagh Ring è un anello di fidanzamento irlandese formato da due mani, che rappresentano l’amicizia, che tengono un cuore, simbolo di amore, sormontato da una corona, che rappresenta la lealtà.  Il nome dell’anello deriva da un villaggio di pescatori situato proprio sulla baia di Galway chiamato Claddagh parola che in gaelico indica la sabbia rocciosa tipica della zona. I primi esemplari di questo anello sono dei veri e propri capolavori e sono in mostra presso il National Museum of Ireland a Dublino e il Victoria and Albert Museum a Londra. L’anello ha sempre avuto un significato profondo per moltissime persone a partire dagli irlandesi che nel XIX secolo furono costretti a lasciare l’Irlanda durante la carestia, per i quali l’anello era diventato l’unico legame con la patria e l’unica eredità familiare passando da madre a figlia primogenita per secoli. Molte le leggende legate a questo anello: la prima poco attendibile ma molto nota narra dell’amore non corrisposto di un re per una contadina, il nobile non accettando il rifiuto della ragazza si uccise ma prima chiese che sulla sua lapide venissero incise due mani intorno ad un cuore incoronato come simbolo di eterno amore per la fanciulla. Altre due teorie, sebbene distanti un secolo l’una dall’altra, riguardano i membri della famiglia Joyce di Galway. La più antica delle due risale al XVI secolo e racconta che il primo anello Claddagh fu un miracoloso e meritato regalo per Margaret Joyce. Domingo De Rona ricco mercante spagnolo che andava spesso a Galway per affari conobbe Margaret in una delle sue visite nella città se ne innamorò e poco dopo la sposò. Sfortunatamente subito dopo il matrimonio Domingo morì e Margaret ereditò le sue fortune. Anni dopo si sposò con Oliver Og French governatore di Galway che la lasciò

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Fede sarda amore e tradizione in un unico oggetto fatato

di Benedetta Giovannetti La fede sarda è un tipo di anello femminile solitamente donato dal futuro sposo in occasione della richiesta formale di matrimonio ma spesso anche in occasioni speciali quali la nascita di un figlio. È un gioiello tipico della Sardegna ma si sta diffondendo anche fuori dai confini dell’isola, grazie al fascino che esercita sui turisti. La sua lavorazione unica le conferisce quell’aspetto così particolare e affascinante, infatti la fede sarda è un gioiello forgiato in 4 o più fili d’oro o d’argento filigranato, intessuti per creare decorazioni uniche su cui vendono microsaldate file di palline del diametro di 0,1 millimetro cesellate e saldate tra loro a cui sono affiancate altre palline più piccole. Tali palline pare facciano riferimento al germoglio del grano e che per questo rappresentino un augurio di fertilità. Di solito l’anello non è chiuso ma rimane aperto nel lato del dito verso il palmo della mano. Più spesso però accadeva che l’anello era l’eredità di una madre alla figlia promessa sposa o in dolce attesa, era considerato un sigillo alla pari del cartiglio dei faraoni egizi, un segreto tramandato da generazioni attraverso i secoli. La fede sarda ha una narrazione che si perde nella notte dei tempi e che pare le nonne raccontino alle nipoti sedute davanti al camino. Pare che la Sardegna sia abitata da alcune fatine magiche; le Janas, minuscole fatine elusive, giocherellone e con il dono della creatività. Infatti pare fossero bravissime a tessere filamenti di oro e di argento. Pare che proprio dalle loro mani nasca l’antica trama della fedina sarda. Una seconda leggenda narra che un innamorato chiese alla Janas incantesimo che lo aiutasse a conquistare la donna amata, tale desiderio fu esaudito con la creazione di un anello, la fede sarda, che se infilato all’anulare sinistro avrebbe ravvivato

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Su coccu, l’amuleto delle donne sarde

Usato contro il malocchio e per proteggere i bambini, su coccu in passato veniva regalato da nonne e madrine e tramandato di madre in figlia. di Agnese Mengarelli Su coccu, chiamato anche Pinnadellu o Sabegia, è l’amuleto contro il malocchio più diffuso in Sardegna.Si tratta di una sfera nera liscia, di solito di ossidiana, forata per far passare il supporto che regge due coppelle laterali in lamina o filigrana d’argento.La sua forma rotonda ricorda l’occhio e simboleggia proprio l’occhio buono che combatte quello cattivo. Affinché questo amuleto sia efficace contro il malocchio, su coccu deve essere ricevuto in dono dopo essere stato caricato con i brebbus, ossia le preghiere mistico religiose della tradizione sarda che attivano la sua potente protezione contro il male.  Su cocco è una pietra sacra incastonata spesso nei gioielli di famiglia.In passato le nonne e le madrine lo regalavano alle loro figliocce per poi essere tramandato di madre in figlia attraverso una forte linea matrilineare. L’artigianato tradizionale sardo offre tantissimi modelli: nella zona della Gallura su cocco è realizzato con il corallo rosso, che non solo protegge dagli influssi negativi ma richiama anche l’amore.Inoltre, se ne possono trovare anche in legno, marmo, ambra e in pasta di vetro colorata. In ogni caso, il più diffuso resta su cocco di ossidiana , poiché è una pietra molto usata anche in cristalloterapia proprio per le sue qualità di purificazione e protezione.Veniva montato su spille d’argento che si usavano per appuntare il velo o il corpetto.Le donne sarde lo nascondevano nelle culle, nel passeggino o sotto gli abiti di neonati e bambini per proteggerli dalla negatività delle persone invidiose. Su cocco è infatti uno scudo di difesa: contro il dolore, gli animali velenosi e ovviamente contro ogni tipo di energia negativa.Se su cocco si spezza, diventa particolarmente opaco o

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Ossidiana nera: la pietra per vere guerriere

L’ossidiana è una pietra potente che scava in profondità e va usata con molta cautela, mentre l’ossidiana fiocco di neve, grazie alle piccole macchie chiare, è più equilibrata ma altrettanto efficace. di Agnese Mengarelli L’ossidiana è un vetro vulcanico che nasce dal repentino raffreddamento di lave ad alto contenuto di silicio.Non ha una struttura cristallina, perché il rapido raffreddamento della lava impedisce che si formino cristalli, producendo quindi una massa amorfa e rigida. L’età geologica delle ossidiane non è mai molto antica ed è difficile reperire ossidiane che abbiano un’età superiore ad alcuni milioni di anni. È la pietra del guerriero, poiché, essendo un vetro molto tagliente, nella preistoria veniva usata per costruire le punte delle lance.  Ma non solo, il suo potere di aprire e chiudere la carne è anche metaforico, infatti l’ossidiana è in grado di entrare in profondità per liberarci dai blocchi e sciogliere gli irrigidimenti mentali.È la pietra adatta per contattare le parti più nascoste di noi (e spesso le meno gradevoli) per aiutarci ad accettarle e a sublimarle. L’ossidiana appartiene alle più antiche pietre da culto della storia umana e già durante l’era della pietra, si producevano dei sonagli per scopi ritualistici.  Nell’antichità, si credeva che fosse in grado di scacciare i demoni e nel Medioevo veniva utilizzata nei riti magici.I sacerdoti Maya del dio Tezcatlipoca, il cui nome significa “specchio fumante” o “ossidiana”, usavano specchi di ossidiana a scopi divinatori. Deve il suo nome attuale a Obsius, il romano che, secondo i resoconti di Plinio, la scoprì nei territori dell’odierna Etiopia. L’ossidiana aiuta a ristabilire la propria integrità, facendo vedere i lati oscuri della propria personalità e a trasformarli. In questo modo, si diventa guerrieri senza macchia, spiritualmente liberi e invulnerabili.  A livello psicologico, l’ossidiana aiuta a superare gli shock, le paure, i blocchi e i

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La Cappella di Rosslyn e i suoi misteri

L’atmosfera incantata della cappella scozzese rapisce il cuore e suscita emozioni così profonde da lasciare senza fiato. di Agnese Mengarelli Resa famosa da un romanzo di Dan Brown, la Cappella di Rosslyn si trova a una ventina di chilometri a sud di Edimburgo nel villaggio di Roslin, che in gaelico significherebbe “antico sapere tramandato di generazione in generazione”. La costruzione di questa chiesa immersa nel verde dei boschi scozzesi ebbe inizio precisamente il giorno dell’equinozio di autunno del 1446, ad opera di William Sinclair, membro della nobilissima famiglia Sinclair, e terminò 4 anni dopo, nel 1450, sempre nel giorno dell’equinozio d’autunno.  La chiesa fu dedicata a San Matteo apostolo ed evangelista proprio perché il 21 settembre nel calendario gregoriano corrisponde al giorno di San Matteo.  Dall’esterno la chiesa sembra indecifrabile, austera quasi minacciosa, ma una volta entrati, la bellezza rapisce il cuore per la ricchezza dei dettagli sui capitelli, sulle colonne, sul soffitto. L’atmosfera suscita emozioni così profonde da lasciare i visitatori senza fiato.  “Fummo immediatamente trasportati, estasiati, colmi d’ammirazione, incapaci di staccarci dall’attrazione del meraviglioso, dalla magia dello splendore, dell’immensità, della vertigine che si sprigionavano da quell’opera più divina che umana”.  Sono le parole del famoso alchimista Fulcanelli nel primo capitolo del suo libro “Il Mistero delle Cattedrali” e Rosslyn è proprio tutto questo: un luogo sacro, fuori dal tempo e dagli schemi.  Ogni dettaglio è lì per comunicare qualcosa, infatti, più si guarda attentamente e più si scopre che tutte le raffigurazioni all’interno del santuario rispondono a precise simbologie, anche lontane dal cristianesimo. La Colonna dell’Apprendista con la raffigurazione dell’Albero della Vita appartiene alla tradizione biblica, ma è arricchita dai draghi della mitologia nordica che racconta di un drago che rosicchia le radici del grande albero cosmico che sostiene l’Universo.  Poi ancora la tradizione babilonese con le stelle e

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Halloween: tra storia e tradizione cosa nasconde la festa più “paurosa” dell’anno

Dal Samhain degli antichi celti all’esplosione commerciale del ‘900. Ascesa e declino di una tradizione anglosassone neanche poi così distante dal nostro sentire. “Dolcetto o scherzetto?”Fra poco meno di una settimana, ma già la grande distribuzione commerciale che da anni ha fiutato l’affare è pronta sin dai primi di ottobre con tutta la serie di prodotti dedicati e relativo marketing spinto intergenerazionale, si celebra la festa anglosassone di Halloween, ricorrenza laica che la globalizzazione di usi e costumi ha diffuso anche nella nostra area mediterranea così ricettiva agli stimoli culturali esterni. Avversata da alcuni che guardano con sospetto se non con palese repulsione ai sottotesti che comunica e apprezzata, viceversa, da parecchi adulti e bambini per l’atmosfera giocosa associata al brivido della paura, Halloween è oggi un’occasione di svago in bilico fra i mascheramenti tipici del nostro carnevale e il coté misterico e inquietante delle ritualità nordiche nate per esorcizzare la paura della morte; purtroppo sempre più svilita e commercializzata sull’altare della moda e del mercato. Cerchiamo di capire meglio come nasce questa ricorrenza, giusto per inquadrare il fenomeno dal punto di vista storico-sociale e lasciamo ad altri più esperti ogni considerazione circa l’eventuale e arbitraria associazione fra questa festa e pratiche esoteriche o più prettamente magiche, magari celebrative del Male in tutte le sue forme. Halloween nasce in ambito celtico (e ricordiamo che tribù celtiche vissero e si svilupparono anche in Italia prima della conquista romana), col nome di Samhain come festa di passaggio fra l’estate e l’inverno celebrata alla vigilia di quello che il calendario romano avrebbe poi chiamato mese di novembre (una festa analoga che celebrava il passaggio fra l’inverno e l’estate era Beltane). Come giorno di passaggio legato ad un periodo dell’anno nel quale ci si preparava (ricordiamo di trovarci in un ambito storico e sociale caratterizzato da piccoli insediamenti di agricoltori e cacciatori) ai rigori dell’inverno imminente e all’immagazzinamento delle risorse alimentari, Samhain assume il

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