per l’anno che se ne è andato, abbiamo voluto citare tre ragazze, simbolo del coraggio
Chi è la donna simbolo del 2024? Ovviamente in tanti e tante, addetti ai lavori dell’informazione e del costume, si sono sbizzarriti per creare una graduatoria da regalare ai posteri, per trovare figure femminili che abbiano caratterizzato l’hanno passato. C’è chi propende per il frivolo, così magari propone Taylor Swift, chi invece invoca la necessità di trovare una figura coraggiosa, capace di dire “basta!!”, dopo tanta sofferenza, all’oppressione maschile, proponendo Gisèle Pelicot; qualcuno potrebbe pensare che sarebbe meglio una figura di donna giovane, tenace, capace di abbinare talento e immagine. Ecco allora che potrebbe spuntare la figura della cestista americana Caitlin Clark, che la rivista Time ha eletto sportiva dell’anno.
Noi abbiamo voluto focalizzarci sulle figure femminili italiane che nel corso del 2024 hanno rappresentato un simbolo nell’ambito delle realtà che hanno affrontato: non una classifica, le vogliamo tutte a pari merito, attraverso un elenco, tanto “orizzontale” quanto eterogeneo, che voglia rappresentare l’anno, ormai passato, al femminile del nostro paese.
Per non dare l’idea della graduatoria, seguiamo il rigido ordine alfabetico.
Bianca Balti: è la “supermodella” per eccellenza, icona della moda, contesa dagli stilisti più famosi; in ogni sua apparizione crea un’elegante atmosfera di classe e carisma, sia che avvenga sulle passerelle, che sulle copertine delle più prestigiose riviste internazionali.
Lo scorso mese di settembre, sui social, come un fulmine ciel sereno, scrive che, “domenica scorsa mi sono registrata al Pronto Soccorso per scoprire che il dolore addominale che accusavo era un cancro alle ovaie allo stadio 3C. E’ stata una settimana piena di paura, dolore e lacrime, ma, soprattutto, amore, speranza, risate e forza”.
Ecco che la sua vita, a quarant’anni, passa dal favoloso mondo del fashion al letto di un ospedale e alla sala operatoria. Ma la Balti reagisce con coraggio e tenecacia: “il cancro mi ha reso la vita bella, sul braccio ho tatuato un soldatino, che sarei poi io”.
La top model all’improvviso si trasforma nel simbolo del coraggio nell’ affrontare una brutta malattia, di quelle che un tempo venivano chiamte “incurabili”, ma che oggi, con i progressi della scienza e col il carattere come quello di Bianca, si può affrontare e sconfiggere.
Alice De Andrè: suo nonno era il grande “Faber”, l’anarchico poeta delle canzoni che raccontano la gente “vera”; lei assomiglia in modo impressionante al padre, Cristiano, non solo figlio di Fabrizio, ma un artista capace di regalare al pubblico parole in musica ed emozioni.
Alice lavora nell’associazione “Un futuro per l’Asperger Onlus”, che si occupa del disturbo, che prende il nome dal pediatra ustriaco (Hans Asperger) che diede il via agli studi per scoprire questa neurodiversità, rientrante nello spettro autistico.
Alice De Andrè insegna al laboratorio di teatro presso l’associazione appena citata e, considerando le difficoltà relazionali che incontrano le persone affette da questo disturbo, ha trovato il modo di migliorare le loro capacità di rapportarsi agli altri, attraverso lo spettacolo “Take me aut – l’eroe che c’è in me”, un lavoro di espressione del linguaggio verbale e del corpo, che lavora sulle emozioni e sui rappoorti di fiducia.
Luciana Esposito: giornalista campana, direttrice del sito internet d’informazione Napolitan.it, da anni si batte da cronista coraggiosa e competente, con una lotta anti-camorra, che tra gli eguali, ha molti cronisti che hanno dato la vita per il dovere d’informazione.
“Ho deciso di raccontare il dramma della Camorra quando un mio compagno di scuola, Paolino Avella, venne assassinato a San Sebastiano Vesuviano da due criminali che volevano sottrargli il motorino”.
La Esposito ha subito capito che la morte di quell’amico avvenuta oltre vent’anni fa, quando il ragazzo non aveva ancora diciotto anni, non doveva essere dimenticata, la figura di Paolino doveva essere ricordata anche attraverso la lotta contro la criminalità. E questa lotta ha bisogno di informazione, quella vera.
Per il suo lavoro, Luciana Esposito nel 2015 subì un’aggressione da un boss. Riceve spesso minacce e intimidazioni, ma ha sempre rifiutato la scorta.
Francesca Ghio: è la consigliera comunale di Genova che, poco più di un mese fa, in un suo intervento in aula, durante un confronto sul significato del 25 novembre, “giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ha raccontato la drammatica vicenda che l’ha vista protagonista da ragazzina: “avevo dodici anni, vivevo nel cuore della Genova-bene, avevo appena iniziato la seconda media, quando sono stata violentata, fisicamente e psicologicamente, tra le mura di casa mia, da un uomo di cui mi fidavo; che nessuno avrebbe mai pensato potesse essere un mostro (…) il vostro bravo ragazzo”.
L’intervernto coraggioso e rabbioso di Francesca, non voleva essere solo una denuncia da un simbolico luogo politico-istituzionale, come il consiglio comunale, bensì una dura critica verso una società che, “non ha il tempo e non ha lo spazio per curarsi delle persone. A scuola studiamo Napoleone Bonaparte -prosegue la Ghio- ma nessuno parla delle emozioni, della sessualità, del sostegno alla fragilità”.