Rivendicare la libertà significa avere problemi di salute mentale
“L’Iran aprirà una clinica per l’hijab inquadrando la ribellione come un problema di salute mentale”. Così titola un organo di stampa iraniano giusto a qualche giorno di distanza dalla ribellione di una ragazza rimasta in biancheria intima nella pubblica piazza. Non bastava l’esistenza di un corpo di Polizia, al quale è stata affiancata la qualifica di “morale”, per le donne che si oppongono all’imposizione del velo e che rivendicano l’esercizio della propria libertà. Ora addirittura si vuole far passare per patologiche quelle donne che non ci stanno a questi diktat e che, nel caso specifico, non vogliono indossare il velo islamico. Un simbolo di un potere che s’intende esercitare sul genere femminile e che è stato annunciato ufficialmente da un funzionario di Teheran.
Una linea d’indirizzo che, da giorni, sta rimbalzando in rete e tra i vari organi di stampa e che, giustamente, sta facendo molto discutere. Lettera43 scrive a tal proposito che la clinica “si rivolgerà alle più giovani, (per Teheran), ‘più vulnerabili alla perdita di identità islamica”. Quindi si vuol far passare il messaggio che l’identità islamica per le donne non può prescindere dal velo, che lo si voglia o no. Quindi una donna che cerca la libertà viene considerata malata di mente e quindi soggetto da curare, stando ad un certo modello identitario e sociale islamico. Rai News titola al riguardo “adolescenti e giovani adulti presi di mira nell’ultimo tentativo di mettere a tacere le proteste di ‘Donna, Vita, Libertà’ a cui abbiamo dedicato un precedente approfondimento di cui al presente link.
Di Maria Teresa Biscarini