La storia di Franca Viola contro tredici imputati uomini
“Hanno rapito mia figlia Franca … So chi è stato, li ho visti in faccia”, questa la denuncia di cui ci dà notizia la giornalista Marta Bonechi nel suo libro “Di testa loro” edito da Mondadori. Un breve passaggio per introdurre alla storia narrata per esteso nel capitolo emblematico intitolato “Quello non lo sposo”. Il ritratto dell’eroina del novecento che si andrà tratteggiando è quello di Franca Viola, nata nel 1947 ad Alcamo nella Sicilia occidentale. Figlia di un contadino e di una casalinga, Franca oltre ad essere bella è dotata anche di portamento elegante. Un mix esplosivo sufficiente a far girare la testa a un bell’imbusto che pensa che tutto gli sia dovuto, amore incluso. Ma Franca è di tutt’altra stoffa, anche se nulla le verrà risparmiato dalla vita.
Il fattaccio avviene il 26 dicembre del 1965 quando una motocicletta imbocca via Arancio al civico n.41. E’ infatti proprio lì che abita la famiglia Viola e da cui viene rapita la ragazza dal bullo del paese, tal Filippo Melodia che violenta ripetutamente e terrorizza la ragazza sperando così di poter vantare diritti su di lei. Una persecuzione che viene parzialmente interrotta il 2 gennaio 1966 quando il brigadiere e il commissario insieme ai loro uomini, fanno irruzione nella casa dove la ragazza è tenuta prigioniera. In sede d’interrogatorio la giovane Franca denuncia di essere stata rapita, stuprata, di non essere innamorata e di non voler sposare il suo aguzzino. In barba all’abominio dell’istituto del “matrimonio riparatore” in voga ai tempi.
Il processo che si apre nei mesi a venire a Trapani vede ben tredici imputati accusati di una rosa di dieci reati. “Un piccolo esercito di giuristi interpreta i fatti alla luce della legge” scrive Boneschi. Ma di quale legge si sta parlando? I reati di cui il clan, al soldo di Melodia, si sono resi autori per forzare la volontà di una giovane sono: ratto, sequestro di persona, associazione a delinquere, violazione di domicilio, minaccia a mano armata, lesioni, detenzione abusiva di armi da fuoco, oltre a incendio doloso, danneggiamento, stupro. Perché come se non bastasse quanto già subìto dalla ragazza, la famiglia di umile estrazione subì anche ritorsioni e pressioni al fine di concedere la mano della figlia al suo violentatore per riparare al tutto con un matrimonio di facciata. Con una legislazione del genere, la faccenda si mette molto male, anche perché il collegio giudicante è formato da tutti siciliani, figli del loro tempo.
Ma a difendere i Viola, costituitisi parte civile, c’è un giurista “forestiero”. Si sta parlando del battagliero penalista Alberto Dall’Ora, veronese di nascita e milanese di adozione che sembra abbia dichiarato “la giustizia non deve essere esemplare, come si usava dire una volta, ma deve essere giusta”. Parole che si innestano in un’epoca storica in cui uomini di legge avevano messo in piedi dei sotterfugi per scusare le malefatte degli uomini. “Il rapimento a scopo di matrimonio è una barbarie – riporta giustamente la Boneschi – come lo è l’articolo 544 del Codice penale che consente di cancellare reati come il rapimento e lo stupro con una cerimonia nuziale riparatrice”. Arringhe infuocate dove illustri giuristi del nord e sud Italia si alternano sempre inclini a ridimensionare il dramma vissuto dalle donne. Una chiara ottusità di mente che fa dire al principe del foro “Via in quest’aula si chiede di infliggere centinaia di anni di galera a un pugno di ragazzi esuberanti soltanto perché Franca Viola ha perso la verginità?”. Ma la presa di posizione di Franca Viola ha dato una svolta definitiva sul punto e gli uomini di legge, obtorto collo, hanno dovuto adeguarsi in barba alle “giuste nozze”! Un No che ha poi aperto per Franca un Sì venuto dal cuore, pronunciato il 4 dicembre 1968 quando, accompagnata dal padre che l’ha sostenuta nella sua giusta battaglia, si unisce in matrimonio all’uomo che ama.
Di Maria Teresa Biscarini