Alla scoperta della realizzazione plastica più iconografica del Natale, fra storia e leggenda.
di Alberto Piastrellini
Il mese di novembre sta per volgere al termine, ma già da tempo, in virtù di quella fregola del consumo che sola sembra essere la molla delle nostre vita, strade, vetrine, TV, radio, negozi e centri commerciali, senza contare tutti gli ambienti virtuali verso i quali le nostre appendici device aprono continue ed allettanti finestre, è scoppiata la narrazione commerciale del Natale.
Non solo all’interno degli spazi dei templi del consumo si diffondono musiche e motivetti che richiamano la celebre data, ma anche le strade dei centri urbani, grazie al subdolo posizionamento di altoparlanti sono inondate di note natalizie rimescolate in un continuo – e a tratti veramente brutto – cocktail di stili diversi: dalla piva pastorale al gospel, passando per il pop e il latinoamericano in un frullato che mette sullo stesso piano Bach ed Handel all’ultima versione remixata di Stille Nacht.
In questa ossessione celebrativa dell’evento in chiave di esca per acquisti (nei grandi centri commerciali americani cominciano ad apparire i primi apparati decorativi in pieno agosto!), accanto all’Albero di Natale, ormai assurto anch’esso a vero e proprio status symbol al cui allestimento si procede solo dopo adeguata consultazione dei consigli di interior designer e dello studio sulle dominanti cromatiche dell’anno dettate dalla moda, un unico manufatto resiste alla dimensione di familiare intimità che il Natale suggerisce, ed è il Presepe.
Presenza irrinunciabile nelle case – soprattutto in Italia – dove è nato, il Presepe è la rappresentazione plastica del Mistero della Natività, ma anche, soprattutto, l’immagine favolistica e nostalgica di un passato agreste, sincero, familiare che fa da contrappeso alle tonitruanti sollecitazioni del quotidiano.
Non a caso, è difficile resistere al fascino di realizzarne uno in casa, soprattutto se ci sono bambini da coinvolgere nell’esecuzione, i quali, anche solo per un’ora, non potranno resistere alla voglia di “sporcarsi le mani” con muschio e ghiaietto, e quasi certamente (anche se per poco), lasceranno le lusinghe dell’ultimo action game per immaginare un paesaggio di fantasia tutto grotticelle e paesini arroccati abitati da ciabattini, pastori, pescivendoli, donnine e animali da cortile.
Ma come nasce il Presepe? Com’è entrato così indissolubilmente nella vita delle nostre case?
Innanzi tutto, il nome: Presepe viene dal latino praesaepe, termine che indica una greppia, una mangiatoia e come tale è utilizzato nella versione latina del Vangelo di Luca per indicare il luogo nel quale Maria depone il piccolo Gesù dopo il parto.
Nell’Alto Medioevo le storie relative alle vite di alcuni Santi, così come episodi biblici ed evangelici sono oggetto di “sacre rappresentazioni”, veri e propri allestimenti scenici pubblici alla cui realizzazione partecipano non già dei veri e propri “attori”, bensì il popolo stesso che realizza anche i “palchi” (le mansiones), i costumi e gli apparati per i “quadri plastici” che raccontano la storia.
Molto probabilmente anche la Natività sarà stata oggetto di rappresentazione, tanto più che il materiale evangelico riconosciuto dalla Chiesa e le tante narrazioni apocrife, forniscono interessanti spunti narrativi.
Tuttavia, la tradizione fa risalire alla notte di Natale del 1223 la prima rappresentazione di un Presepe, grazie al desiderio di Francesco d’Assisi che, appena tornato dalla Terra Santa, intende rievocare l’atmosfera di Betlemme nel paesino di Greccio (previa autorizzazione papale).
Ma il Presepe di San Francesco è più una rappresentazione essenziale della Natività (mancano i personaggi a parte il bue e l’asino e di fatto c’è solo una semplice mangiatoia davanti alla quale celebrare la messa in una esaltazione significativa della povertà materiale).
Il Bambino, nella mangiatoia ce lo “mette” un cavaliere convertito che, rapìto dalla mistica scena dichiara di veder apparire un bambino cullato da Francesco (l’episodio è raccontato da Bonaventura da Bagnoregio – Bagnoregio, 1217/1221 circa – Lione, 15 luglio 1274 – nella sua Legenda Major che riprende e amplifica la precedente Vita di San Franceso d’Assisi di Fra Tommaso da Celano Celano, 1190 ca. – Val de’ Varri, 1265 ca).
L’evento, raccontato anche da Giotto in uno dei “pannelli” ad affresco che decorano l’ambiente della Basilica Superiore di San Francesco in Assisi, ripreso nelle narrazioni dei vari conventi francescani che iniziano a diffondersi in Italia e non solo, fa decollare un vero e proprio impulso artistico che contagia non solo la pittura, ma anche la scultura e già due secoli più tardi si usa addobbare chiese e cappelle con raffigurazioni plastiche della natività durante le festività del Natale.
Cinque, Sei e Settecento vedono esplodere, soprattutto nei ceti altolocati, la mania di possedere presepi artistici, decorativi e riccamente elaborati davanti ai quali raccogliersi in preghiera durante le funzioni private; è in questo torno di tempo che, nel napoletano il gusto per la teatralità d l’esuberanza del barocco dà vita a veri e propri capolavori di miniatura che restituiscono uno spaccato idealizzato della vita popolare del tempo in cui collocare la natività.
Naturalmente, la presenza in Italia di uno Stato della Chiesa favorisce il diffondersi della pratica del presepe e a quel punto in molte città sorgono botteghe dedite alla produzione di statuine, ambienti architettonici, apparati decorativi (stoffe, utensili, ecc,) da utilizzare per i vari allestimenti.
Tali botteghe perpetueranno l’attività e forniranno cocci, terrecotte e cartapesta anche per i presepi casalinghi fino all’avvento dei primi polimeri.
Ogni territorio, inoltre immette le proprie tradizioni, le proprie peculiarità e sensibilità nella costruzione della “scena” al punto che, oggi è possibile collocare geograficamente un presepe in base alle singole peculiarità e caratteristiche.
Senza contare i tanti contributi e apporti all’arte presepiaria arrivati dai tanti Paesi del mondo in cui nel tempo si è diffusa e consolidatala pratica del presepe.
Statico o meccanico, semplice o con “effetti speciali” (ruscelli, fontanelle, piccoli “fuochi”, luci e neve…), il presepe mantiene anche oggi la capacità di attirare lo sguardo e la fantasia dell’osservatore e non a caso si moltiplicano le esposizioni artistiche, i piccoli musei, le raccolte, ma anche i laboratori didattici per apprendere i rudimenti e approfondire gli svariati aspetti tecnici dell’arte presepiaria.
E poi, diciamocelo, davanti ad un presepe è veramente difficile rimanere indifferenti senza lasciarsi provocare dall’insieme di simboli e significati più o meno nascosti che fanno appello alla parte più intima e disarmata della nostra coscienza, risvegliando, magari, echi sopiti di fede e di elevazione spirituale.Fare un presepe, impone un minimo di impegno, di creatività e di riflessione; non fosse altro che per rispondere ad una semplice esigenza estetica e di composizione della scena.; risveglia il “regista che è in noi”, obbligandoci a fare i conti sul “come raccontare una storia”.
Un piccolo, grande esercizio di astrazione e di “silenzio” interiore, in questi giorni di caotica rincorsa all’acquisto e alla soddisfazione a breve termine.