Atteso da 12 anni, finalmente è entrato in vigore il Regolamento che impone l’etichettatura per la distinzione del pane fresco da quello che tale non è, che d’ora in poi dovrà essere esposto in spazi appositamente riservati.
Di Elena Cirilli
Come hanno messo in evidenza numerose inchieste televisive negli ultimi anni, l’importazione di pane precotto e congelato proveniente soprattutto dall’Est Europa è aumentata con un fatturato passato da quattro a otto milioni di euro l’anno. Una situazione che penalizza sia il nostro Paese dal punto di vista economico, ma soprattutto noi consumatori, che a tavola non sappiamo più se stiamo mangiando pane fresco, conservato, precotto o surgelato, a meno che non lo compriamo direttamente dal fornaio.
Per questo è molto importante il nuovo Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, realizzato di concerto con il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo e il Ministro della Salute, che disciplina e regolarizza nello specifico le varie denominazioni di “panificio”, “pane fresco” e “pane conservato”. Un decreto finalmente entrato in vigore e che, pensate, doveva essere emanato già da un decennio!
Il Decreto, denominato Disposizioni urgenti per la liberalizzazione dell’attività di produzione di pane, permetterà al consumatore di acquistare pane realmente fresco e non semplicemente “caldo” spacciato per appena fatto.
“Resta tuttavia il problema di prevedere anche per il pane l’etichettatura obbligatoria dell’origine delle farine utilizzate – ha osservato Coldiretti – Infatti, solo una etichettatura trasparente può consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli e alle imprese di far emergere il valore distintivo dei prodotti agricoli realizzati”.
Il testo della normativa definisce per “panificio” l’impresa che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno e assimilati o affini, e svolge l’intero ciclo di produzione, dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale (in poche parole il nostro fornaio di fiducia, ndr). Per “pane fresco”, invece, si precisa che è tale il pane preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o alla surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante. Viene ritenuto continuo il processo di produzione per il quale non intercorra un intervallo di tempo superiore alle 72 ore dall’inizio della lavorazione fino al momento della messa in vendita del prodotto.
La dicitura “pane conservato o a durabilità prolungata” sarà applicata al pane non preimballato per il quale viene utilizzato, durante la sua preparazione o nell’arco del processo produttivo, un metodo di conservazione ulteriore rispetto ai metodi sottoposti agli obblighi informativi previsti dalla normativa nazionale e dall’Unione Europea.
Il pane precotto che viene solo completato nella cottura sul punto vendita è il caso più diffuso e merita un discorso a parte. D’ora in poi, infatti, dovrà essere esposto in scomparti appositamente riservati e dovrà recare la dicitura aggiuntiva che ne evidenzi il metodo di conservazione e di consumo utilizzato, secondo le disposizioni del regolamento UE n. 1169/2011: “La denominazione dell’alimento comprende o è accompagnata da un’indicazione dello stato fisico nel quale si trova il prodotto o dello specifico trattamento che esso ha subito (ad esempio in polvere, ricongelato, liofilizzato, surgelato, concentrato, affumicato), nel caso in cui l’omissione di tale informazione potrebbe indurre in errore l’acquirente”.
Inizia bene dunque il 2019, con la possibilità innanzitutto di arrestare la sempre più dilagante tendenza di importare pane dall’Est Europa, ma anche con l’opportunità di aver messo in campo nuove attività di informazione per fare acquisire al consumatore la consapevolezza del prodotto acquistato, così come nuovi controlli per tutelarlo, anche a livello di polizia comunale.